giornalediconfine.net

 

Rossella Mascolo
Ecologia ed evoluzione dello spazio antropologico verso un'etica planetaria

R. Mascolo, Ecologia ed evoluzione dello spazio antropologico verso un'etica planetaria, in "XÁOS. Giornale di confine", Anno IV, N.1 Marzo -Giugno 2005/2006 URL:
http://www.giornalediconfine.net/n_4/19.htm

 

Sono queste poche pagine, solo parole, magari scontate, espressione di un pensiero utopico che acquista realtà nel venire alla luce, nella possibilità di essere condiviso, almeno ascoltato da chi legge, in un percorso attraverso parole già dette. Piccola antologia di citazioni e commenti, in un inusuale connubio fra linguaggio "scientifico" e linguaggio "umanistico", oltre le barriere disciplinari, poiché con Lévy, "Il tentativo maldestro di servirsi […] dei corpi irrigiditi delle vecchie discipline può portare solo al fallimento, perché il sapere vive solo nei margini mobili, negli incroci, nelle interferenze, dove tutto diventa questione di contaminazione" (1), con essi non voglio aggiungere nulla di nuovo, né entrare nel merito di discorsi descrittivi o interpretativi complessi della nostra contemporaneità, ma solo tracciare un filo, forse di speranza, di cui ciascuno potrà servirsi come vuole, tagliandolo con le critiche o continuando personalmente a tesserlo nel proprio vissuto quotidiano.
La scienza offre dei modelli di interpretazione del mondo e della vita, generalmente accettati e "[…] l'ordine della scienza ufficiale è uno dei modi in cui noi possiamo aver a che fare con la natura" (2).
"Le modalità con cui la scienza moderna […] entra in contatto con la natura sono individuati dai caratteri del riduzionismo e del meccanicismo. […] Meccanicismo e riduzionismo forniscono un quadro deterministico della realtà, dominabile perché se ne possiedono le chiavi concettuali" (3).
Completamente diverso è il punto di vista dell'ecologia, scienza sovversiva, doverosamente applicabile anche alla sfera dell'umano. "Gli scienziati, abituati al ragionamento riduzionistico, si trovano a fare i conti con una disciplina giovane, l'ecologia, e con le sue problematiche legate alla complessità dei sistemi. […] studiosi di etica [trovano] nell'ecologia un nuovo sostegno alle loro scelte morali. […] Le piante, gli animali e tutti gli altri organismi, non solo [appartengono] ad un'unica discendenza evolutiva, così come aveva detto Darwin, ma la loro stessa esistenza dipende[…] dai loro rapporti incrociati. Il concetto olistico, che vede[…] la natura come un tutto organico, [ha] il supporto di nuove basi scientifiche" (4).
Tale punto di vista è proponibile come nuovo paradigma conoscitivo, che consente una visione olistica dell'intero nostro pianeta e dei suoi componenti. "L'ecologia ha rapidamente acquisito, accanto al carattere di disciplina naturalistica, il carattere di paradigma, una forma di razionalità che rende ragione delle reciproche interazioni all'interno della totalità costituita da sistemi naturali e sistemi antropici. Ciò ha fatto dell'ecologia una scienza sovversiva: le sue leggi - se di vere leggi si può parlare - sono state più o meno metaforicamente estese come nozioni esplicative in contesti più ampi" (5).
D'altro canto, il passaggio dall'io al noi, nel senso onnicomprensivo tipico dell'ecologia, attraverso la quotidiana constatazione dello stato di pericolo in cui si trova il nostro pianeta, risulta essere ormai una necessità, insieme all'impossibilità di tenere disgiunti gli aspetti riguardanti la sfera dell'umano da tutto ciò che non lo è.
"Viviamo senza saperlo una vita planetaria. Siamo come un momento di un ologramma dove ciascuno porta con sé il microcosmo. Ma malgrado tutto ciò, non abbiamo il senso di questa solidarietà e diciamo che la tragedia sta nel fatto che l'umanità non riesce a nascere come umanità. Tuttavia abbiamo raggiunto qualche presa di coscienza capitale durante gli ultimi vent'anni. La presa di coscienza ecologica non è soltanto una presa di coscienza locale, ma è la consapevolezza che la biosfera, il nostro ambiente vitale, è un qualcosa che la crescita industriale incontrollata tende a distruggere e questa distruzione tende a sua volta a distruggerci. Abbiamo preso coscienza che la terra stessa è una sorta di sistema con la sua autonomia, la sua organizzazione, la sua propria vita" (6).
È sufficiente una fuggevole attenzione alle cronache, che anche contro il nostro desiderio invadono continuamente il nostro privato, per dar conto dell'impossibilità di sottrarsi alla partecipazione, se non altro percettiva, di tutto quanto avviene nel mondo. I nuovi mezzi di comunicazione hanno ridotto le distanze e praticamente annullato i tempi di trasferimento di un certo tipo di informazioni, fruibili su scala quasi mondiale.
Gli stessi esseri umani sono i soggetti attivi o passivi di continui movimenti migratori, che li portano a contatto con culture e lingue diverse dalla loro.
Anche il grande castello economico, costruito dalla specie umana per regolamentare la sua sopravvivenza nello sfruttamento delle risorse del pianeta, si è esteso sempre di più dal livello locale a quello globale, fino ad avvolgere in una fitta rete di interrelazioni, anche non volute, l'intero pianeta.
È quindi evidente che la società umana non sia rimasta staticamente uguale a se stessa nel corso della sua storia, non sottraendosi al processo evolutivo, che ha caratterizzato il nostro pianeta, sin dalla nascita delle prime forme di vita sulla Terra e che lo spazio antropologico, il "sistema di prossimità (spazio) proprio del mondo umano (antropologico) e dunque dipendente dalle tecniche, dai significati, dal linguaggio, dalla cultura, dalle convenzioni, dalle rappresentazioni e dalle emozioni umane" (7), creato e contemporaneamente profondamente trasformato dal modificarsi nel tempo dell'agire umano, abbia finito con l'espandersi su scala planetaria.
La percezione del divenire è manifesta già in uno dei più famosi frammenti eraclitei: "Non si può entrare due volte nello stesso fiume (DK 22 B90). Acque sempre nuove lambiscono quelli che entrano negli stessi fiumi (DK 22 B12)." (8).
In quanto espressione del continuo mutare della vita, la teoria evolutiva è stata abbracciata da numerosi biologi moderni e contemporanei. "L'evoluzione è un processo storico, una registrazione dello stato mutevole dei sistemi viventi" (9). "Le specie sono "entità storiche spaziotemporalmente limitate". Hanno un inzio, una storia e una fine. […] Le frequenze dei geni cambiano costantemente, per selezione e deriva, a ogni generazione, in ogni singola popolazione di una specie" (10).
Ma l'evoluzione in quanto dinamicità del cambiamento non può essere limitata ai soli organismi viventi, senza tener conto delle interrelazioni con il mondo abiotico. La mutevolezza può pertanto essere meglio espressa con riferimento alle unità ecosistemiche e al flusso di energia che continuamente le attraversa, aumentandone il contenuto entropico, fino a considerare l'intera Terra, Gaia, il pianeta vivente. "[…] è il flusso di energia tra [le popolazioni locali] a conferire compattezza a queste entità intergenealogiche, multispecie, che chiamiamo "ecosistemi". L'energia scorre anche tra i confini degli ecosistemi locali; in tal modo, questi sono uniti in sistemi economici regionali. Da ultimo, tutti i sistemi locali sono associati nella biosfera - l'ecosistema unico, seppur diversificato in maniera complessa, della Terra intera, che alcuni hanno chiamato "Gaia"" (11).
Si possono avere utili risposte per la comprensione delle dinamiche e dei comportamenti della società degli umani se si considera che "I sistemi sociali si evolvono - hanno una storia filogenetica - come qualsiasi altro genere di sistema biologico" (12).
Può quindi essere interessante considerare anche l'evoluzione delle società e delle culture umane. "Più di mezzo secolo fa, […] nel tentativo di comprendere la dinamica funzionale dei sistemi socioculturali umani, si contrapponevano l'impostazione evolutiva e quella più analitica […]. La scuola "funzionalista" […] sostenne insistentemente che per arrivare a comprendere appieno un sistema sociale è sufficiente studiarne tutti i componenti […]. Il passato è del tutto irrilevante. Di contro, gli evoluzionisti […] sostennero che è impossibile capire il perché e il percome di una cultura a meno di non capirne la storia" (13).
Come è ovvio ricordare la particolarità del sistema sociale umano, dato che "La cultura - i comportamenti appresi, trasmessi attraverso il linguaggio e non i geni - è una caratteristica praticamente esclusiva della nostra specie e rende il fenomeno della società umana molto diverso da tutte le altre forme di sistemi sociali" (14), non spiegabile evolutivamente in accordo con l'iperdeterminismo degli ultradarwinisti.
"È ridicolo sostenere che il sistema sociale che conosciamo meglio - il nostro - è completamente e fondamentalmente guidato dal bisogno di ciascuno di noi di lasciare quanto più possiamo la nostra informazione genetica alla generazione successiva. Il mondo umano, e il mondo biologico in generale, non funziona così. È più complesso. Non è "strettamente avviluppato" quanto vorrebbe l'iperdeterminismo degli ultradarwinisti" (15), ma meglio interpretabile alla luce delle teorie evolutive dei naturalisti, quali Niles Eldredge e Stephen Jay Gould, che tengono conto della complessità dei sistemi viventi, cosa specialmente valida per i prodotti della società umana.
"Molto semplicemente, la vita non riguarda esclusivamente la trasmissione dell'informazione genetica. Riguarda anche gli affari di ordine economico inerenti al fatto di essere vivi" (16).
È il mondo tre di popperiana memoria: ""Penso che con la comparsa dell'uomo - scrive Popper - la creatività dell'universo sia diventata evidente. L'uomo infatti ha creato un nuovo mondo oggettivo, il mondo dei prodotti della mente umana: un mondo di miti, di fiabe e di teorie scientifiche, di poesia, arte e musica […]. L'esistenza di grandi opere d'arte e di scienza indiscutibilmente creative rivela la creatività dell'uomo e con essa quella dell'universo che ha creato l'uomo". […] nel corso dell'evoluzione si verificano cose ed hanno luogo eventi nuovi, con proprietà inaspettate, imprevedibili" (17).
"Noi leggiamo il mondo con le grammatiche di lettura della nostra memoria culturale: memoria in continua evoluzione" (18).
La presunzione umana è quella di credere di potersi sottrarre a tali dinamiche, di dominare razionalmente il processo evolutivo della cultura e della conoscenza, opponendosi al fluire del tempo e al cambiamento che, naturalmente e spontaneamente, ne consegue. Mi pare che tutte le discussioni degli umani, dalla più piccola lite familiare ai grandi simposi di estensione mondiale, prendano l'avvio da un'istantanea della situazione che si sta vivendo, come se fosse possibile in tal modo congelare il divenire della vita per poterlo dominare a nostro piacimento, per stabilire il prima e il poi, assegnare i ruoli dei protagonisti, scrivere i copioni di tutti gli attori e magari anche quello dei registi, che scrivono per sé, in una ricorsività all'infinito.
Dal momento della sua comparsa sulla Terra, l'essere umano vi lasciò la sua orma, creandovi il territorio e dando così inizio alla Storia. "Il primo che, avendo cintato un terreno, pensò di dire: "Questo è mio", e trovò delle persone abbastanza stupide da credergli, fu il vero fondatore della società civile." […] "La fondazione indica, con un'unica parola, la genesi di uno spazio e l'inaugurazione di un tempo" (19).
Né si tenne mai in alcun conto il diritto, di kantiana memoria, che è il "[…] diritto della proprietà comune della superficie terrestre, sulla quale, in quanto sferica, gli uomini non possono disperdersi all'infinito, ma alla fine devono sopportare di stare l'uno a fianco dell'altro; originariamente però nessuno ha più diritto di un altro ad abitare una località della Terra" (20).
La logica del dominio trova uno dei suoi più antichi riconoscimenti nell'Antico Testamento, nel libro della Genesi, dove si racconta come la colpa di superbia collettiva di coloro che vollero spingersi sulla più alta torre mai costruita fino a toccare il cielo, sia stata da Dio punita proprio con l'instaurarsi dell'incapacità a comunicare fra gli esseri umani, ottenuta nientedimeno che con la nascita della pluralità delle lingue e delle culture.
"Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al fuoco." Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: ""Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra."" Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: "Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro." Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra" (21).
Nacque così "[…] la vecchia cultura patriarcale che ha dominato il pianeta per migliaia di anni […], basata sul potere dell'uomo sull'uomo, sul possesso dei figli e della terra, sul nazionalismo e sull'identificazione con il proprio gruppo, razza e religione. […] Cultura rigida, settoriale, prepotente e fanatica, che tende al condizionamento e al controllo totale delle persone come della società, che si basa sulle direttive di una certa ideologia, fede o principio divino e che lo impone agli altri. Che poi venga chiamato indottrinamento politico, proselitismo religioso o, più semplicemente, il buon nome della famiglia, non cambia la struttura di fondo" (22).
Non si può non concordare con il fatto che "Le differenze linguistiche solitamente innalzano barriere tra la gente" (23). "Le recinzioni accolgono gli animali addomesticati, marchiati, selezionati. Le frontiere ostacolano il passaggio dei nomadi, interrompono le linee di erranza […] innalzano barriere intorno al sapere" (24) e portano al diffondersi di "[…] un desiderio di pace frustrato dal nazionalismo e dalle fissazioni ideologiche" (25).
"Che altro c'è all'origine di tutti i fondamentalismi - orientali ed occidentali - se non questo senso angusto delle radici e della terra, della religione e della lingua, intesa quest'ultima non come ciò che consente di parlare ad altri, ma come ciò che impedisce la parola ed interrompe la circolazione del senso" (26).
Ma la Babele c'è già stata. Le differenze culturali sono state create, in un processo inevitabile di separazione fra gli uomini. Ora ciascuno riporta nella sua storia, nel proprio codice genetico, il segno della storia delle culture che ha attraversato durante la vita sua e quella dei suoi antenati, che lo definiscono come persona unica e irripetibile, al di là delle barriere transnazionali, come provato dalle seguenti esperienze di vita dei due grandi pensatori, Hans Jonas e Zygmunt Barman:
"Il concetto di patria per me è andato perduto da tempo. A ciò è legato anzitutto il mio esodo dalla Germania. Il paese che scelsi fu la Palestina, con la prospettiva che vi sorgesse in futuro uno Stato ebraico, cosa che poi accadde effettivamente: Israele. Poi il semplice destino accademico, vale a dire l'offerta di posti d'insegnamento e di cattedre, mi portò prima in Canada e infine negli Stati Uniti. Così non posso più dire di identificarmi con un qualche paese in particolare e di provare per esso sentimenti patriottici" (27).
"Secondo l'antica usanza dell'Università Carlo di Praga, durante la cerimonia di conferimento delle lauree honoris causa viene suonato l'inno nazionale del paese di appartenenza del "neolaureato". Quando toccò a me ricevere quest'onore, mi chiesero di scegliere tra l'inno britannico e l'inno polacco... Beh, non trovai facile dare una risposta. La Gran Bretagna era il paese che avevo scelto e che mi aveva scelto offrendomi una cattedra quando la permanenza in Polonia, il mio paese di nascita, era diventata impossibile perché mi era stato tolto il diritto di insegnare. Laggiù, però, in Gran Bretagna, io ero un immigrato, un nuovo venuto, fino a non molto tempo fa un profugo da un paese straniero, un alieno. Poi sono diventato un cittadino britannico naturalizzato, ma quando sei un nuovo venuto puoi mai smettere di esserlo? […] perché non far suonare l'inno europeo? […]La nostra decisione di chiedere che venisse suonato l'inno europeo era al tempo stesso "inclusiva" ed "esclusiva"... Alludeva a un'entità che includeva i due punti di riferimento alternativi della mia identità, ma contemporaneamente annullava, come meno rilevanti o irrilevanti, le differenze tra di essi e perciò anche una possibile "scissione di identità". Rimuoveva la questione di un'identità definitiva in termini di nazionalità, quel tipo di identità che mi era stata resa inaccessibile. Anche gli struggenti versi dell'inno europeo contribuivano allo scopo: alle Menschen werden Brüder, tutti gli uomini saranno fratelli ... L'immagine di "fratellanza" è la sintesi della quadratura del cerchio: differenti eppure uguali, separati ma inseparabili, indipendenti ma uniti" (28).
Quindi la difficoltà di definire il nuovo soggetto umano, frutto dell'evoluzione in atto, che porta sempre di più alla mescolanza delle culture e delle etnie, cercando di ritagliare, in una complicata operazione di semplificazione del suo albero genealogico, la sua giusta collocazione in un gruppo culturalmente definito, genera nell'individuo sofferenza:
"In quanto tale, il migrante non ha diritto di "cittadinanza" in alcun posto. In realtà è un essere ormai estraneo alla sua società di origine e spesso lungi dall'essere integrato in quella di passaggio o di arrivo. […] Come produrre una cultura propria in condizioni di non riconoscimento del diritto ad una esistenza specifica? [E' una] riflessione critica che i migranti devono affrontare in merito all'espressione del proprio punto di vista: quello, cioè, di chi può raccontare la società di origine e la società di arrivo restando distaccato da entrambe perché alla ricerca della vera libertà, la libertà di non essere obbligato a subordinarsi ad alcuna appartenenza" (29).
Il concetto stesso di Patria, se non del tutto abbandonato, tende necessariamente ad allargarsi fino a comprendere l'intero nostro pianeta.
"Dunque abbiamo ormai tutte le ragioni convergenti per considerarci cittadini non solo del nostro paese o non solo nel nostro continente, ma cittadini della Terra-Patria. Ma, per diventare tali, per riconoscere questo fatto della Terra-Patria, si affaccia un'esigenza fondamentale: bisogna superare il potere assoluto dello Stato-nazione; come nell'89 la Rivoluzione francese aveva abolito il potere assoluto del re e cambiato sovrano, allo stesso modo oggi bisogna distruggere non le nazioni, non gli stati, ma il loro assolutismo. Capiamo che sotto gli stati esistono delle diversità che vogliono vivere ed avere la loro autonomia, ma comprendiamo anche che al di sopra dello stato ci sono realtà che possono essere trattate e pericoli che possono essere affrontati soltanto su un piano comune. Ben inteso, questa concezione della Terra-Patria non deve essere una concezione omogeneizzante, quanto una concezione che non solo rispetti ma cerchi di fortificare la diversità umana. […] la diversità è il tesoro della biologia e della biosfera, […] la diversità è il tesoro dell'umanità culturale e […] la diversità di idee, di opinioni è il tesoro della vita democratica" (30).
"[…] ogni ecosistema, come ogni individuo vivente, ha una propria storia diversa e irripetibile" (31).
Ciò è presumibilmente valido ancor più nel caso di ciascuna persona.
"All'interno di una situazione di mobilità, le lingue ufficiali e gli schemi fissi portano solo alla confusione, all'occultamento e al disorientamento", mentre sarebbe auspicabile autorizzare "i singoli […] a esprimersi nel proprio linguaggio, a inventarsi le proprie autodescrizioni e quelle dei loro progetti, senza imporre loro un codice a priori" (32).
Un appiattimento di tale condizione non è assolutamente neanche ipotizzabile, pena la distruzione della dignità stessa di ogni essere umano. "[…] avere sensazioni diverse rispetto a differenti volti, gruppi, comunità, sembra più umano di un umanitarismo che rende uniformi tutte le caratteristiche, individuali e di gruppo" (33).
Né si può pensare che la situazione sia risolvibile, giocando a "Risiko" con il pianeta, come spesso le cosiddette grandi potenze, valutabili in tal senso in base a quali parametri poi non si sa, hanno cercato e cercano di fare.
"[…] la concentrazione nelle mani di un solo paese di un potenza smisurata e della capacità di imporsi con le armi della propria volontà, non può che far nascere instabilità tra paesi e culture diverse. […] L'attuale globalizzazione, che annienta le differenze culturali e accentua la disparità sociale, contribuisce all'aumento delle tensioni e dell'instabilità che poi sfociano in violente reazioni" (34).
Già Kant, quindi, ipotizzava che si possa favorire il dialogo fra le culture o semplicemente lasciare che esso si verifichi, sperare che l'interscambio fra uomini appartenenti a diverse identità culturali getti un ponte attraverso l'incomprensione e l'incomunicabilità, fonte di tante discordie nel mondo: "[…] è questo il desiderio di ogni Stato […], pervenire a uno stato di pace duraturo dominando cioè, se possibile, tutta la Terra. Ma la natura lo vuole in modo diverso. Essa si serve di due mezzi per impedire ai popoli di mescolarsi e per separarli, la diversità delle lingue e delle religioni, la quale, è vero, porta con sé la tendenza all'odio reciproco, e motivi di guerra, tuttavia, con la crescita della civiltà e con il progressivo avvicinarsi degli uomini a una maggiore armonia nei principi, conduce all'intesa in una pace, che non è, come quel dispotismo (sul cimitero della libertà), prodotta e garantita dall'indebolimento di tutte le forze, ma dal loro equilibrio, nella più vitale emulazione reciproca" (35).
Se conseguenza di questo debba poi essere la perdita di una parte del sé di una certa etnia, l'abbattimento spontaneo delle barriere linguistiche e culturali, in un processo naturale di evoluzione, in cui alla casualità si affianca la consapevolezza del potere decisionale delle persone, anche di una sola, guidate dal desiderio di pace, non si può che esserne felici.
"Ecco perché la trasmissione, l'educazione, l'integrazione, la riorganizzazione del legame sociale devono cessare di essere attività separate. Devono essere compiute dall'intera società verso la sua stessa totalità, e potenzialmente da qualsiasi punto sociale in movimento verso qualsiasi altro, senza una canalizzazione preliminare, senza passare attraverso qualche organo preposto" (36). "[…] i sentimenti, le aspirazioni, i sogni di quanti elaborano le decisioni […] non possono venire previst[i] dai pensatori astratti di un gruppo di specialisti" (37).
Non è giusto delegare ad una nuova elite culturale, allo scopo costruita, chi sa dove e chi sa da chi, il compito di bloccare un naturale processo di scambio di idee, solo per mantenere legami a tradizioni definite aprioristicamente, con un'istantanea scattata in un tempo programmato a tavolino, da considerare prototipo di identità culturale a cui restare legati, per la paura di perdersi nello spazio delle mescolanze e nel tempo del fluire delle tradizioni.
"Le politiche della separazione e della trascendenza stanno alla diversità e alla ricchezza degli atti umani come l'industria pesante stava alle risorse naturali e all'ambiente: le sfruttano senza un piano preciso e distruggono più di quanto non creino" (38).
"[…] le culture interagiscono, cambiano, hanno risorse che vanno oltre i loro ingredienti stabili e obiettivi o, piuttosto, oltre quegli ingredienti che (alcuni) antropologi hanno condensato in regole e leggi culturali inesorabili. Considerando quanto le culture hanno imparato le une dalle altre e quanto ingegnosamente hanno assemblato il materiale così ottenuto, sono arrivato alla conclusione che ogni cultura è in potenza tutte le culture e che tratti culturali particolari sono manifestazioni intercambiabili di una singola natura umana. La conclusione ha importanti conseguenze politiche: le particolarità culturali non sono inviolabili" (39).
Per cui se è vero che "La diversità non può essere soppressa, né con la forza né con la persuasione. La diversità è la ricchezza spirituale della Terra, la sua libertà e la sua forza" (40), come logica conseguenza si ha che "[…] in quest'alternativa senza sbocco tra dimenticanza e perversione, la comunità rischia di trasformarsi o in deserto o in fortezza: o di scomparire dall'orizzonte di pensiero come quelle stelle che improvvisamente finiscono di brillare o di rovesciarsi nel proprio opposto: di dare voce, anziché a ciò che abbatte i muri, a ciò che li innalza e li fortifica. […] Attraverso quale linguaggio è oggi possibile rivolgere un'interrogazione radicale al tema della comunità?" (41).
Il lasciare il gruppo di appartenenza a livello locale o il non riuscire a trovare una corretta collocazione all'interno di quelli esistenti potrebbe portare al disorientamento etico, per il timore di perdere il sistema valoriale di riferimento. Ma il nostro stesso essere richiama nella sua stessa essenza l'esistenza delle radici dell'etica.
"I nostri cervelli, come altri sistemi organici, sono però tali da inventarsi da soli dei valori. Per esempio essi si aggrappano al loro proprio essere, conducono la lotta per la sopravvivenza, la quale è un valore. E fra gli uomini vi sono appunto alcuni che si preoccupano. […] In altre parole: il mondo non è privo di valori; vi è almeno quell'unico valore nel mondo, l'esistenza della responsabilità, che è meglio della sua non-esistenza" (42).
"Noi siamo consapevoli del nostro essere uomini come di un dover essere che non abbisogna di alcuna prescrizione esterna. Io agisco liberamente se agisco così come sono, vale a dire se realizzo ciò che sono. […] Tutte le cose e gli esseri viventi, incluso l'uomo, sono quello che sono soltanto nell'essere-con assieme ad altri" (43).
"L'incontro con Altri rappresenta immediatamente la mia responsabilità per lui: la responsabilità per il prossimo, che senza dubbio è l'austero nome di ciò che si chiama l'amore del prossimo" (44).
Il valore universale diventa la con-vivenza con il mondo intero, per la sopravvivenza del tutto.
"[…] è sempre a partire dal Volto, a partire dalla responsabilità per Altri, che appare la giustizia, la quale comporta giudizio e confronto, confronto con ciò che per principio è incomparabile, poiché ogni essere è unico: ogni altro è unico" (45).
"Ci servono delle regole comuni del "vivere-insieme" che, se si edificheranno su una morale accettabile a livello mondiale e saranno rispettate da tutti, potranno sostituire la cooperazione al confronto e frenare le angosce generate dall'accelerazione dei cambiamenti nel mondo e da un potenziale di violenza che cresce costantemente, e i bisogni di sicurezza che ne risultano. E' così che si aprirà la strada ad una mondializzazione più giusta, che non sarà più orientata primariamente verso dei fini economici, ma ad una lotta efficace alla povertà nel mondo, alla prevenzione collettiva dei rischi ambientali e alla nascita di una cultura mondiale capace di esprimersi non in un'unica lingua ma in una vasta diversità di lingue" (46).
"Ora, poiché con la comunanza (più o meno stretta) tra i popoli della Terra, che alla fine ha dappertutto prevalso, si è arrivati a tal punto che la violazione di un diritto commessa in una parte del mondo viene sentita in tutte le altre parti, allora l'idea di un diritto cosmopolitico non appare più come un tipo di rappresentazione chimerica ed esaltata del diritto, ma come un necessario completamento del codice non scritto sia del diritto politico sia del diritto internazionale verso il diritto pubblico dell'umanità, e quindi verso la pace perpetua, e solo a questa condizione possiamo lusingarci di essere in costante cammino verso di essa" (47).
"[…]io penso che i diritti dell'uomo siano una istituzione extra-politica, che deve sussistere nella società in modo del tutto indipendente dallo stato e dalle sue necessità. […] Oggi non ci sono profeti: forse la profezia può essere sostituita da una più grande libertà lasciata agli scrittori. E infine penso che la più grande virtù della nostra società liberale - che è ancora la migliore - sia la libertà di opinione, di parola, di espressione, come garanzia per la possibilità di una riparazione. È una modesta proposta. E come ultima cosa raccomando l'attenzione di ciascuno verso tutti, indipendentemente dall'organizzazione […]" (48).
Pur tenendo conto, quindi, dell'irriducibile spinta alla conservazione delle nostre radici, oramai, per quanto detto estremamente variegate e per ciò stesso ricostruibili e comprensibili con grande difficoltà, l'estendersi dell'orizzonte di senso del nostro personale vissuto a livello planetario rende necessaria e auspicabile l'apertura del nostro ego a quello dell'altro e attraverso questo al mondo intero.
Senza l'incontro con l'altro non è possibile neanche la percezione stessa del nostro tempo, la costruzione della storia.
"La relazione con l'avvenire, la presenza dell'avvenire nel presente sembra ancora realizzarsi nel faccia a facci con altri [autrui]. La situazione del faccia a faccia sarebbe la realizzazione stessa del tempo; lo sconfinamento del presente nell'avvenire non fa parte del modo d'essere di un soggetto solo, ma è la relazione intersoggettiva. La condizione del tempo sta nel rapporto fra esseri umani o nella storia" (49).
Ai nostri giorni questo processo si estende al di fuori della usuale dimensionalità dello spazio - tempo, dal momento che "[…] lo sviluppo della scienza negli ultimi decenni, con Internet, ha creato un "cervello planetario" estremamente più espanso e informato del singolo cervello umano, che implica la parallela evoluzione di una "coscienza planetaria"" (50).
Quindi "alla pazienza infinita della tradizione, che ingloba in una stessa durata le età dei vivi e quelle dei morti, e fa lavorare l'acqua viva del presente all'edificazione di un muro contro il tempo" (51), si contrappone il dinamismo di chi si situa nel nuovo orizzonte temporale dell'immaginazione collettiva, "il segreto dello Spazio del sapere è precisamente la possibilità tecnica, effettiva, di mettere insieme le temporalità personali per creare una soggettività collettiva e far ripercuotere il tempo collettivo, emergente, sulle soggettività individuali. Seguendo il ritmo che è loro proprio, gli individui non sono dunque condannati all'isolamento" (52).
È d'altro canto indubbio che l'apertura verso una visione planetaria della società umana presenti, allo stato attuale, una fortissima valenza utopica, non priva di grosse contraddizioni, vista la suddivisione ineguale delle risorse fra le popolazioni umane che occupano l'odierno spazio antropico.
"Il processo di globalizzazione è appunto qualche cosa di estremamente complesso e contraddittorio. Si può dire che includa escludendo, che unisca dividendo. Cioè il mondo è sempre più unito sotto il profilo tecnologico, sotto il profilo economico, sotto il profilo finanziario e culturale, ma è anche sempre più diviso sotto il profilo sociale, sotto il profilo delle effettive opportunità. […] la tecnica stessa, in ogni sua forma, in ogni sua manifestazione e in ogni settore, ha unificato il mondo. Ha consentito che si parli tutti la stessa lingua, che è l'inglese, con lo stesso lessico, gli stessi concetti, le stesse parole. E questa unificazione linguistica è certamente rafforzata dai grandi mezzi di comunicazione, dalla televisione innanzi tutto, così come da Internet. […] Ma la tecnica divide anche, perché […] non concede a tutti gli abitanti del mondo la possibilità di entrare in Internet o di accendere una televisione. E anche se questo accadesse non possiamo dimenticare che i flussi mediatici, economici, finanziari sono concentrati dentro certi circuiti, escludendone altri. Anzi, tale concentrazione, è basata proprio sul fatto che in altri circuiti c'è povertà" (53).
Il problema non è di facile definizione, né risolubile semplicisticamente, com'è ovvio, ma tutto ciò non esclude la possibilità, che il miglioramento dell'agire comunicativo fra gli umani, in ogni caso rappresentato dalla rete delle reti, inneschi anche un processo di pacificazione del globo, se "[…] potremo utilizzare computer e Internet in modo estremamente ecologico ed avere una incredibile porta aperta sul pianeta, un canale di conoscenza che potrebbe portare, in tempi brevissimi, un enorme aumento di consapevolezza planetaria. […] È un processo opposto a quello della Torre di Babele, è la creazione di una comunicazione universale, di un modo di pensare basato sull'accettazione e il rispetto delle differenze razziali e culturali, di contatto umano" (54).
C'è chi afferma che "la diversità deve poter coesistere all'interno di un'unica cultura planetaria. La nascita di una cultura globale non significa la morte, il livellamento o l'amalgamarsi delle vecchie culture, che si spera continueranno ad esistere, ma certamente la morte di un modo di pensare profondamente radicato nella nostra stessa mente, la fine della logica della divisione. […] si creerà una vera e propria società planetaria trasversale, più innovativa e libera del passato, che darà origine ad una cultura universale. Questa sarà una nuova sottopopolazione dalle caratteristiche multietniche e dalle indefinibili matrici culturali, una moltitudine di singoli individui e gruppi che si sentiranno veramente "cittadini del pianeta"" (55).
E in questo voglio credere. Sarà forse come un messaggio di speranza lanciato nel cyberspazio, che tutti noi stiamo contribuendo a creare e di cui dobbiamo prender coscienza, un grande mondo iperdimensionale, al di là dell'usuale percezione dello spazio e del tempo, fino ai più remoti angoli del nostro pianeta, in una nuova realtà, dove "i messaggi […] interagiscono e si chiamano da un capo all'altro di una superficie continua deterritorializzata" e "i membri dei collettivi molecolari comunicano trasversalmente, reciprocamente, al di là delle categorie, piegando e ripiegando, cucendo e ricucendo, complicando a piacere il grande tessuto metamorfico delle città pacifiche" (56).


 

NOTE
(1) Pierre Lévy, 2002 - L'intelligenza collettiva. Feltrinelli "Universale economica", Milano, pag. 208.
(2) K. M. Meyer-Abich, 1998 - Fondazione di un'etica olistica. In S. Dellavalle, Per un agire ecologico, Baldini & Castoldi, pag. 73.
(3) M. Tallacchini, 1998 - Etiche della Terra. Ed. Vita e Pensiero, pag. 12.
(4) P. G. Pagano, 2002 - Filosofia Ambientale. Mattioli 1885, pag. 31.
(5) M. Tallacchini, 1998 - Etiche della Terra. Ed. Vita e Pensiero, pag. 13.
(6) E. Morin, in Ernesto Balducci - Edgar Morin, Ripensare la politica - (2) dal sito http://www.bdp.it/content/index.php?action=read&id=265#1, Appunti dalla discussione svoltasi tra i due pensatori il 17 gennaio 1991, primo giorno della Prima Guerra del Golfo.
(7) Pierre Lévy, 2002 - L'intelligenza collettiva. Feltrinelli "Universale economica", Milano, pag. 27.
(8) Eraclito, da De Bartolomeo, Magni, 2001 - Filosofia. Tomo 1, ATLAS, pag. 237.
(9) Niles Eldredge, 1999 - Ripensare Darwin. Biblioteca Einaudi, pag. 195.
(10) Ibid., pag. 174.
(11) Ibid., pag. 185.
(12) Ibid., pag. 202.
(13) Ibid., pag. 198.
(14) Ibid., pag. 210.
(15) Ibid., pagg. 213-214.
(16) Ibid., pag. 214.
(17) D. Antiseri, 1999 - Karl Popper. Ed. Rubbettino, pagg. 185-186.
(18) D. Antiseri, 1996 - Trattato di metodologia delle scienze sociali. UTET, pag. 24.
(19) Pierre Lévy, 2002 - L'intelligenza collettiva. Feltrinelli "Universale economica", Milano pag. 176.
(20) Immanuel Kant, 2003 - Per la pace perpetua. Universale Economica Feltrinelli, pag. 65.
(21) Genesi, 11, 1 - 11, 9.
(22) N. F. Montecucco, 2001 - La visione olistica. Edizioni Mediterranee, pag. 307.
(23) P. K. Feyerabend, 1996 - Ambiguità e armonia. Editori Laterza, pag. 108.
(24) Pierre Lévy, 2002 - L'intelligenza collettiva. Feltrinelli "Universale economica", Milano, pag. 177.
(25) P. K. Feyerabend, 1996 - Ambiguità e armonia. Editori Laterza, pag. 137.
(26) Roberto Esposito, La comunità fuori dal comune, L'Unita' - 10 GENNAIO 2002, dal sito http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/020110d.htm.
(27) Hans Jonas, 2000 - Sull'orlo dell'abisso, conversazioni sul rapporto tra uomo e natura. Einaudi, pagg. 18-19.
(28) Z. Bauman, in Il Corriere della sera, 20 giugno 2003 - L'identità è come un vestito, si usa finché serve. Dal sito http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/030620a.htm.
(29) Mbacke Gadji, 2000 - Pap, Ngagne, Yatt e gli altri, Edizioni dell'Arco, pagg. II-III introduz.
(30) E. Morin, in Ernesto Balducci - Edgar Morin, Ripensare la politica - (2) dal sito http://www.bdp.it/content/index.php?action=read&id=265#1, Appunti dalla discussione svoltasi tra i due pensatori il 17 gennaio 1991, primo giorno della Prima Guerra del Golfo.
(31) M. Tallacchini, 1998 - Etiche della Terra. Ed. Vita e Pensiero, pag. 17.
(32) Pierre Lévy, 2002 - L'intelligenza collettiva. Feltrinelli "Universale economica", Milano, pagg. 82-83.
(33) P. K. Feyerabend, 1994 - Ammazzando il tempo. Editori Laterza, pag. 59.
(34) Un mondo di giustizia e di pace non somiglia al vostro, di ATTAC Germania, dal sito http://www.swif.uniba.it/lei/recensioni/swirt/globalizzazione/contro%20la%20guerra.pdf, data di pubblicazione su www.attac.it 01 luglio 2002.
(35) Immanuel Kant, 2003 - Per la pace perpetua. Universale Economica Feltrinelli, pagg. 77-78.
(36) Pierre Lévy, 2002 - L'intelligenza collettiva. Feltrinelli "Universale economica", Milano, pag. 54.
(37) P. K. Feyerabend, Science in a Free Society, NLB Londra, 1978 in D. Antiseri, 1996 - Trattato di metodologia delle scienze sociali. UTET, pag. 413.
(38) Pierre Lévy, 2002 - L'intelligenza collettiva. Feltrinelli "Universale economica", Milano, pag. 66.
(39) P. K. Feyerabend, 1994 - Ammazzando il tempo. Editori Laterza, pagg. 170-171.
(40) N. F. Montecucco, 2001 - La visione olistica. Edizioni Mediterranee, pag. 309.
(41) Roberto Esposito, La comunità fuori dal comune, L'Unita' - 10 GENNAIO 2002, dal sito http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/020110d.htm.
(42) Hans Jonas, 2000 - Sull'orlo dell'abisso, conversazioni sul rapporto tra uomo e natura. Einaudi, pagg. 39-40.
(43) K. M. Meyer-Abich, 1998 - Fondazione di un'etica olistica. In S. Dellavalle, Per un agire ecologico, Baldini & Castoldi, pag. 75.
(44) E. Lévinas, 1985 - Aut-Aut, da De Bartolomeo, Magni, 2001 - Filosofia. Tomo 5, ATLAS, pag. 690.
(45) Ibid.
(46) Un mondo di giustizia e di pace non somiglia al vostro, di ATTAC Germania, dal sito http://www.swif.uniba.it/lei/recensioni/swirt/globalizzazione/contro%20la%20guerra.pdf, data di pubblicazione su www.attac.it 01 luglio 2002.
(47) Immanuel Kant, 2003 - Per la pace perpetua. Universale Economica Feltrinelli, pag. 68.
(48) in La cattiva coscienza dell'Europa, Intervista inedita a Emmanuel Lévinas, di Renato Parascandolo, dal sito http://www.educational.rai.it/mat/dr/inlevina.asp.
(49) E. Lévinas, 2001 - Il Tempo e l'Altro. Ed. Il melangolo, pag. 49.
(50) N. F. Montecucco, 2001 - La visione olistica. Edizioni Mediterranee, pag. 337.
(51) Pierre Lévy, 2002 - L'intelligenza collettiva. Feltrinelli "Universale economica", Milano, pag. 131.
(52) Ibid., pag. 180.
(53) Roberto Esposito, Che cos'è l'Uguaglianza, Il Grillo, 8/1/2002, dal sito http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=878.
(54) N. F. Montecucco, 2001 - La visione olistica. Edizioni Mediterranee, pag. 338.
(55) Ibid., pag. 309.
(56) Pierre Lévy, 2002 - L'intelligenza collettiva. Feltrinelli "Universale economica", Milano, pag. 68.