Sono queste poche pagine, solo parole, magari scontate,
espressione di un pensiero utopico che acquista realtà
nel venire alla luce, nella possibilità di essere
condiviso, almeno ascoltato da chi legge, in un percorso
attraverso parole già dette. Piccola antologia di
citazioni e commenti, in un inusuale connubio fra linguaggio
"scientifico" e linguaggio "umanistico",
oltre le barriere disciplinari, poiché con Lévy,
"Il tentativo maldestro di servirsi [
] dei corpi
irrigiditi delle vecchie discipline può portare solo
al fallimento, perché il sapere vive solo nei margini
mobili, negli incroci, nelle interferenze, dove tutto diventa
questione di contaminazione" (1), con essi non voglio
aggiungere nulla di nuovo, né entrare nel merito
di discorsi descrittivi o interpretativi complessi della
nostra contemporaneità, ma solo tracciare un filo,
forse di speranza, di cui ciascuno potrà servirsi
come vuole, tagliandolo con le critiche o continuando personalmente
a tesserlo nel proprio vissuto quotidiano.
La scienza offre dei modelli di interpretazione del mondo
e della vita, generalmente accettati e "[
] l'ordine
della scienza ufficiale è uno dei modi in cui noi
possiamo aver a che fare con la natura" (2).
"Le modalità con cui la scienza moderna [
]
entra in contatto con la natura sono individuati dai caratteri
del riduzionismo e del meccanicismo. [
] Meccanicismo
e riduzionismo forniscono un quadro deterministico della
realtà, dominabile perché se ne possiedono
le chiavi concettuali" (3).
Completamente diverso è il punto di vista dell'ecologia,
scienza sovversiva, doverosamente applicabile anche alla
sfera dell'umano. "Gli scienziati, abituati al ragionamento
riduzionistico, si trovano a fare i conti con una disciplina
giovane, l'ecologia, e con le sue problematiche legate alla
complessità dei sistemi. [
] studiosi di etica
[trovano] nell'ecologia un nuovo sostegno alle loro scelte
morali. [
] Le piante, gli animali e tutti gli altri
organismi, non solo [appartengono] ad un'unica discendenza
evolutiva, così come aveva detto Darwin, ma la loro
stessa esistenza dipende[
] dai loro rapporti incrociati.
Il concetto olistico, che vede[
] la natura come un
tutto organico, [ha] il supporto di nuove basi scientifiche"
(4).
Tale punto di vista è proponibile come nuovo paradigma
conoscitivo, che consente una visione olistica dell'intero
nostro pianeta e dei suoi componenti. "L'ecologia ha
rapidamente acquisito, accanto al carattere di disciplina
naturalistica, il carattere di paradigma, una forma di razionalità
che rende ragione delle reciproche interazioni all'interno
della totalità costituita da sistemi naturali e sistemi
antropici. Ciò ha fatto dell'ecologia una scienza
sovversiva: le sue leggi - se di vere leggi si può
parlare - sono state più o meno metaforicamente estese
come nozioni esplicative in contesti più ampi"
(5).
D'altro canto, il passaggio dall'io al noi, nel senso onnicomprensivo
tipico dell'ecologia, attraverso la quotidiana constatazione
dello stato di pericolo in cui si trova il nostro pianeta,
risulta essere ormai una necessità, insieme all'impossibilità
di tenere disgiunti gli aspetti riguardanti la sfera dell'umano
da tutto ciò che non lo è.
"Viviamo senza saperlo una vita planetaria. Siamo come
un momento di un ologramma dove ciascuno porta con sé
il microcosmo. Ma malgrado tutto ciò, non abbiamo
il senso di questa solidarietà e diciamo che la tragedia
sta nel fatto che l'umanità non riesce a nascere
come umanità. Tuttavia abbiamo raggiunto qualche
presa di coscienza capitale durante gli ultimi vent'anni.
La presa di coscienza ecologica non è soltanto una
presa di coscienza locale, ma è la consapevolezza
che la biosfera, il nostro ambiente vitale, è un
qualcosa che la crescita industriale incontrollata tende
a distruggere e questa distruzione tende a sua volta a distruggerci.
Abbiamo preso coscienza che la terra stessa è una
sorta di sistema con la sua autonomia, la sua organizzazione,
la sua propria vita" (6).
È sufficiente una fuggevole attenzione alle cronache,
che anche contro il nostro desiderio invadono continuamente
il nostro privato, per dar conto dell'impossibilità
di sottrarsi alla partecipazione, se non altro percettiva,
di tutto quanto avviene nel mondo. I nuovi mezzi di comunicazione
hanno ridotto le distanze e praticamente annullato i tempi
di trasferimento di un certo tipo di informazioni, fruibili
su scala quasi mondiale.
Gli stessi esseri umani sono i soggetti attivi o passivi
di continui movimenti migratori, che li portano a contatto
con culture e lingue diverse dalla loro.
Anche il grande castello economico, costruito dalla specie
umana per regolamentare la sua sopravvivenza nello sfruttamento
delle risorse del pianeta, si è esteso sempre di
più dal livello locale a quello globale, fino ad
avvolgere in una fitta rete di interrelazioni, anche non
volute, l'intero pianeta.
È quindi evidente che la società umana non
sia rimasta staticamente uguale a se stessa nel corso della
sua storia, non sottraendosi al processo evolutivo, che
ha caratterizzato il nostro pianeta, sin dalla nascita delle
prime forme di vita sulla Terra e che lo spazio antropologico,
il "sistema di prossimità (spazio) proprio del
mondo umano (antropologico) e dunque dipendente dalle tecniche,
dai significati, dal linguaggio, dalla cultura, dalle convenzioni,
dalle rappresentazioni e dalle emozioni umane" (7),
creato e contemporaneamente profondamente trasformato dal
modificarsi nel tempo dell'agire umano, abbia finito con
l'espandersi su scala planetaria.
La percezione del divenire è manifesta già
in uno dei più famosi frammenti eraclitei: "Non
si può entrare due volte nello stesso fiume (DK 22
B90). Acque sempre nuove lambiscono quelli che entrano negli
stessi fiumi (DK 22 B12)." (8).
In quanto espressione del continuo mutare della vita, la
teoria evolutiva è stata abbracciata da numerosi
biologi moderni e contemporanei. "L'evoluzione è
un processo storico, una registrazione dello stato mutevole
dei sistemi viventi" (9). "Le specie sono "entità
storiche spaziotemporalmente limitate". Hanno un inzio,
una storia e una fine. [
] Le frequenze dei geni cambiano
costantemente, per selezione e deriva, a ogni generazione,
in ogni singola popolazione di una specie" (10).
Ma l'evoluzione in quanto dinamicità del cambiamento
non può essere limitata ai soli organismi viventi,
senza tener conto delle interrelazioni con il mondo abiotico.
La mutevolezza può pertanto essere meglio espressa
con riferimento alle unità ecosistemiche e al flusso
di energia che continuamente le attraversa, aumentandone
il contenuto entropico, fino a considerare l'intera Terra,
Gaia, il pianeta vivente. "[
] è il flusso
di energia tra [le popolazioni locali] a conferire compattezza
a queste entità intergenealogiche, multispecie, che
chiamiamo "ecosistemi". L'energia scorre anche
tra i confini degli ecosistemi locali; in tal modo, questi
sono uniti in sistemi economici regionali. Da ultimo, tutti
i sistemi locali sono associati nella biosfera - l'ecosistema
unico, seppur diversificato in maniera complessa, della
Terra intera, che alcuni hanno chiamato "Gaia""
(11).
Si possono avere utili risposte per la comprensione delle
dinamiche e dei comportamenti della società degli
umani se si considera che "I sistemi sociali si evolvono
- hanno una storia filogenetica - come qualsiasi altro genere
di sistema biologico" (12).
Può quindi essere interessante considerare anche
l'evoluzione delle società e delle culture umane.
"Più di mezzo secolo fa, [
] nel tentativo
di comprendere la dinamica funzionale dei sistemi socioculturali
umani, si contrapponevano l'impostazione evolutiva e quella
più analitica [
]. La scuola "funzionalista"
[
] sostenne insistentemente che per arrivare a comprendere
appieno un sistema sociale è sufficiente studiarne
tutti i componenti [
]. Il passato è del tutto
irrilevante. Di contro, gli evoluzionisti [
] sostennero
che è impossibile capire il perché e il percome
di una cultura a meno di non capirne la storia" (13).
Come è ovvio ricordare la particolarità del
sistema sociale umano, dato che "La cultura - i comportamenti
appresi, trasmessi attraverso il linguaggio e non i geni
- è una caratteristica praticamente esclusiva della
nostra specie e rende il fenomeno della società umana
molto diverso da tutte le altre forme di sistemi sociali"
(14), non spiegabile evolutivamente in accordo con l'iperdeterminismo
degli ultradarwinisti.
"È ridicolo sostenere che il sistema sociale
che conosciamo meglio - il nostro - è completamente
e fondamentalmente guidato dal bisogno di ciascuno di noi
di lasciare quanto più possiamo la nostra informazione
genetica alla generazione successiva. Il mondo umano, e
il mondo biologico in generale, non funziona così.
È più complesso. Non è "strettamente
avviluppato" quanto vorrebbe l'iperdeterminismo degli
ultradarwinisti" (15), ma meglio interpretabile alla
luce delle teorie evolutive dei naturalisti, quali Niles
Eldredge e Stephen Jay Gould, che tengono conto della complessità
dei sistemi viventi, cosa specialmente valida per i prodotti
della società umana.
"Molto semplicemente, la vita non riguarda esclusivamente
la trasmissione dell'informazione genetica. Riguarda anche
gli affari di ordine economico inerenti al fatto di essere
vivi" (16).
È il mondo tre di popperiana memoria: ""Penso
che con la comparsa dell'uomo - scrive Popper - la creatività
dell'universo sia diventata evidente. L'uomo infatti ha
creato un nuovo mondo oggettivo, il mondo dei prodotti della
mente umana: un mondo di miti, di fiabe e di teorie scientifiche,
di poesia, arte e musica [
]. L'esistenza di grandi
opere d'arte e di scienza indiscutibilmente creative rivela
la creatività dell'uomo e con essa quella dell'universo
che ha creato l'uomo". [
] nel corso dell'evoluzione
si verificano cose ed hanno luogo eventi nuovi, con proprietà
inaspettate, imprevedibili" (17).
"Noi leggiamo il mondo con le grammatiche di lettura
della nostra memoria culturale: memoria in continua evoluzione"
(18).
La presunzione umana è quella di credere di potersi
sottrarre a tali dinamiche, di dominare razionalmente il
processo evolutivo della cultura e della conoscenza, opponendosi
al fluire del tempo e al cambiamento che, naturalmente e
spontaneamente, ne consegue. Mi pare che tutte le discussioni
degli umani, dalla più piccola lite familiare ai
grandi simposi di estensione mondiale, prendano l'avvio
da un'istantanea della situazione che si sta vivendo, come
se fosse possibile in tal modo congelare il divenire della
vita per poterlo dominare a nostro piacimento, per stabilire
il prima e il poi, assegnare i ruoli dei protagonisti, scrivere
i copioni di tutti gli attori e magari anche quello dei
registi, che scrivono per sé, in una ricorsività
all'infinito.
Dal momento della sua comparsa sulla Terra, l'essere umano
vi lasciò la sua orma, creandovi il territorio e
dando così inizio alla Storia. "Il primo che,
avendo cintato un terreno, pensò di dire: "Questo
è mio", e trovò delle persone abbastanza
stupide da credergli, fu il vero fondatore della società
civile." [
] "La fondazione indica, con un'unica
parola, la genesi di uno spazio e l'inaugurazione di un
tempo" (19).
Né si tenne mai in alcun conto il diritto, di kantiana
memoria, che è il "[
] diritto della proprietà
comune della superficie terrestre, sulla quale, in quanto
sferica, gli uomini non possono disperdersi all'infinito,
ma alla fine devono sopportare di stare l'uno a fianco dell'altro;
originariamente però nessuno ha più diritto
di un altro ad abitare una località della Terra"
(20).
La logica del dominio trova uno dei suoi più antichi
riconoscimenti nell'Antico Testamento, nel libro della Genesi,
dove si racconta come la colpa di superbia collettiva di
coloro che vollero spingersi sulla più alta torre
mai costruita fino a toccare il cielo, sia stata da Dio
punita proprio con l'instaurarsi dell'incapacità
a comunicare fra gli esseri umani, ottenuta nientedimeno
che con la nascita della pluralità delle lingue e
delle culture.
"Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole.
Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura
nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un
l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cuociamoli al
fuoco." Il mattone servì loro da pietra e il
bitume da cemento. Poi dissero: ""Venite, costruiamoci
una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo
e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra.""
Ma il Signore scese a vedere la città e la torre
che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: "Ecco,
essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola;
questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno
in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo
dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano
più l'uno la lingua dell'altro." Il Signore
li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono
di costruire la città. Per questo la si chiamò
Babele, perché là il Signore confuse la lingua
di tutta la terra e di là il Signore li disperse
su tutta la terra" (21).
Nacque così "[
] la vecchia cultura patriarcale
che ha dominato il pianeta per migliaia di anni [
],
basata sul potere dell'uomo sull'uomo, sul possesso dei
figli e della terra, sul nazionalismo e sull'identificazione
con il proprio gruppo, razza e religione. [
] Cultura
rigida, settoriale, prepotente e fanatica, che tende al
condizionamento e al controllo totale delle persone come
della società, che si basa sulle direttive di una
certa ideologia, fede o principio divino e che lo impone
agli altri. Che poi venga chiamato indottrinamento politico,
proselitismo religioso o, più semplicemente, il buon
nome della famiglia, non cambia la struttura di fondo"
(22).
Non si può non concordare con il fatto che "Le
differenze linguistiche solitamente innalzano barriere tra
la gente" (23). "Le recinzioni accolgono gli animali
addomesticati, marchiati, selezionati. Le frontiere ostacolano
il passaggio dei nomadi, interrompono le linee di erranza
[
] innalzano barriere intorno al sapere" (24)
e portano al diffondersi di "[
] un desiderio
di pace frustrato dal nazionalismo e dalle fissazioni ideologiche"
(25).
"Che altro c'è all'origine di tutti i fondamentalismi
- orientali ed occidentali - se non questo senso angusto
delle radici e della terra, della religione e della lingua,
intesa quest'ultima non come ciò che consente di
parlare ad altri, ma come ciò che impedisce la parola
ed interrompe la circolazione del senso" (26).
Ma la Babele c'è già stata. Le differenze
culturali sono state create, in un processo inevitabile
di separazione fra gli uomini. Ora ciascuno riporta nella
sua storia, nel proprio codice genetico, il segno della
storia delle culture che ha attraversato durante la vita
sua e quella dei suoi antenati, che lo definiscono come
persona unica e irripetibile, al di là delle barriere
transnazionali, come provato dalle seguenti esperienze di
vita dei due grandi pensatori, Hans Jonas e Zygmunt Barman:
"Il concetto di patria per me è andato perduto
da tempo. A ciò è legato anzitutto il mio
esodo dalla Germania. Il paese che scelsi fu la Palestina,
con la prospettiva che vi sorgesse in futuro uno Stato ebraico,
cosa che poi accadde effettivamente: Israele. Poi il semplice
destino accademico, vale a dire l'offerta di posti d'insegnamento
e di cattedre, mi portò prima in Canada e infine
negli Stati Uniti. Così non posso più dire
di identificarmi con un qualche paese in particolare e di
provare per esso sentimenti patriottici" (27).
"Secondo l'antica usanza dell'Università Carlo
di Praga, durante la cerimonia di conferimento delle lauree
honoris causa viene suonato l'inno nazionale del paese di
appartenenza del "neolaureato". Quando toccò
a me ricevere quest'onore, mi chiesero di scegliere tra
l'inno britannico e l'inno polacco... Beh, non trovai facile
dare una risposta. La Gran Bretagna era il paese che avevo
scelto e che mi aveva scelto offrendomi una cattedra quando
la permanenza in Polonia, il mio paese di nascita, era diventata
impossibile perché mi era stato tolto il diritto
di insegnare. Laggiù, però, in Gran Bretagna,
io ero un immigrato, un nuovo venuto, fino a non molto tempo
fa un profugo da un paese straniero, un alieno. Poi sono
diventato un cittadino britannico naturalizzato, ma quando
sei un nuovo venuto puoi mai smettere di esserlo? [
]
perché non far suonare l'inno europeo? [
]La
nostra decisione di chiedere che venisse suonato l'inno
europeo era al tempo stesso "inclusiva" ed "esclusiva"...
Alludeva a un'entità che includeva i due punti di
riferimento alternativi della mia identità, ma contemporaneamente
annullava, come meno rilevanti o irrilevanti, le differenze
tra di essi e perciò anche una possibile "scissione
di identità". Rimuoveva la questione di un'identità
definitiva in termini di nazionalità, quel tipo di
identità che mi era stata resa inaccessibile. Anche
gli struggenti versi dell'inno europeo contribuivano allo
scopo: alle Menschen werden Brüder, tutti gli uomini
saranno fratelli ... L'immagine di "fratellanza"
è la sintesi della quadratura del cerchio: differenti
eppure uguali, separati ma inseparabili, indipendenti ma
uniti" (28).
Quindi la difficoltà di definire il nuovo soggetto
umano, frutto dell'evoluzione in atto, che porta sempre
di più alla mescolanza delle culture e delle etnie,
cercando di ritagliare, in una complicata operazione di
semplificazione del suo albero genealogico, la sua giusta
collocazione in un gruppo culturalmente definito, genera
nell'individuo sofferenza:
"In quanto tale, il migrante non ha diritto di "cittadinanza"
in alcun posto. In realtà è un essere ormai
estraneo alla sua società di origine e spesso lungi
dall'essere integrato in quella di passaggio o di arrivo.
[
] Come produrre una cultura propria in condizioni
di non riconoscimento del diritto ad una esistenza specifica?
[E' una] riflessione critica che i migranti devono affrontare
in merito all'espressione del proprio punto di vista: quello,
cioè, di chi può raccontare la società
di origine e la società di arrivo restando distaccato
da entrambe perché alla ricerca della vera libertà,
la libertà di non essere obbligato a subordinarsi
ad alcuna appartenenza" (29).
Il concetto stesso di Patria, se non del tutto abbandonato,
tende necessariamente ad allargarsi fino a comprendere l'intero
nostro pianeta.
"Dunque abbiamo ormai tutte le ragioni convergenti
per considerarci cittadini non solo del nostro paese o non
solo nel nostro continente, ma cittadini della Terra-Patria.
Ma, per diventare tali, per riconoscere questo fatto della
Terra-Patria, si affaccia un'esigenza fondamentale: bisogna
superare il potere assoluto dello Stato-nazione; come nell'89
la Rivoluzione francese aveva abolito il potere assoluto
del re e cambiato sovrano, allo stesso modo oggi bisogna
distruggere non le nazioni, non gli stati, ma il loro assolutismo.
Capiamo che sotto gli stati esistono delle diversità
che vogliono vivere ed avere la loro autonomia, ma comprendiamo
anche che al di sopra dello stato ci sono realtà
che possono essere trattate e pericoli che possono essere
affrontati soltanto su un piano comune. Ben inteso, questa
concezione della Terra-Patria non deve essere una concezione
omogeneizzante, quanto una concezione che non solo rispetti
ma cerchi di fortificare la diversità umana. [
]
la diversità è il tesoro della biologia e
della biosfera, [
] la diversità è il
tesoro dell'umanità culturale e [
] la diversità
di idee, di opinioni è il tesoro della vita democratica"
(30).
"[
] ogni ecosistema, come ogni individuo vivente,
ha una propria storia diversa e irripetibile" (31).
Ciò è presumibilmente valido ancor più
nel caso di ciascuna persona.
"All'interno di una situazione di mobilità,
le lingue ufficiali e gli schemi fissi portano solo alla
confusione, all'occultamento e al disorientamento",
mentre sarebbe auspicabile autorizzare "i singoli [
]
a esprimersi nel proprio linguaggio, a inventarsi le proprie
autodescrizioni e quelle dei loro progetti, senza imporre
loro un codice a priori" (32).
Un appiattimento di tale condizione non è assolutamente
neanche ipotizzabile, pena la distruzione della dignità
stessa di ogni essere umano. "[
] avere sensazioni
diverse rispetto a differenti volti, gruppi, comunità,
sembra più umano di un umanitarismo che rende uniformi
tutte le caratteristiche, individuali e di gruppo"
(33).
Né si può pensare che la situazione sia risolvibile,
giocando a "Risiko" con il pianeta, come spesso
le cosiddette grandi potenze, valutabili in tal senso in
base a quali parametri poi non si sa, hanno cercato e cercano
di fare.
"[
] la concentrazione nelle mani di un solo paese
di un potenza smisurata e della capacità di imporsi
con le armi della propria volontà, non può
che far nascere instabilità tra paesi e culture diverse.
[
] L'attuale globalizzazione, che annienta le differenze
culturali e accentua la disparità sociale, contribuisce
all'aumento delle tensioni e dell'instabilità che
poi sfociano in violente reazioni" (34).
Già Kant, quindi, ipotizzava che si possa favorire
il dialogo fra le culture o semplicemente lasciare che esso
si verifichi, sperare che l'interscambio fra uomini appartenenti
a diverse identità culturali getti un ponte attraverso
l'incomprensione e l'incomunicabilità, fonte di tante
discordie nel mondo: "[
] è questo il desiderio
di ogni Stato [
], pervenire a uno stato di pace duraturo
dominando cioè, se possibile, tutta la Terra. Ma
la natura lo vuole in modo diverso. Essa si serve di due
mezzi per impedire ai popoli di mescolarsi e per separarli,
la diversità delle lingue e delle religioni, la quale,
è vero, porta con sé la tendenza all'odio
reciproco, e motivi di guerra, tuttavia, con la crescita
della civiltà e con il progressivo avvicinarsi degli
uomini a una maggiore armonia nei principi, conduce all'intesa
in una pace, che non è, come quel dispotismo (sul
cimitero della libertà), prodotta e garantita dall'indebolimento
di tutte le forze, ma dal loro equilibrio, nella più
vitale emulazione reciproca" (35).
Se conseguenza di questo debba poi essere la perdita di
una parte del sé di una certa etnia, l'abbattimento
spontaneo delle barriere linguistiche e culturali, in un
processo naturale di evoluzione, in cui alla casualità
si affianca la consapevolezza del potere decisionale delle
persone, anche di una sola, guidate dal desiderio di pace,
non si può che esserne felici.
"Ecco perché la trasmissione, l'educazione,
l'integrazione, la riorganizzazione del legame sociale devono
cessare di essere attività separate. Devono essere
compiute dall'intera società verso la sua stessa
totalità, e potenzialmente da qualsiasi punto sociale
in movimento verso qualsiasi altro, senza una canalizzazione
preliminare, senza passare attraverso qualche organo preposto"
(36). "[
] i sentimenti, le aspirazioni, i sogni
di quanti elaborano le decisioni [
] non possono venire
previst[i] dai pensatori astratti di un gruppo di specialisti"
(37).
Non è giusto delegare ad una nuova elite culturale,
allo scopo costruita, chi sa dove e chi sa da chi, il compito
di bloccare un naturale processo di scambio di idee, solo
per mantenere legami a tradizioni definite aprioristicamente,
con un'istantanea scattata in un tempo programmato a tavolino,
da considerare prototipo di identità culturale a
cui restare legati, per la paura di perdersi nello spazio
delle mescolanze e nel tempo del fluire delle tradizioni.
"Le politiche della separazione e della trascendenza
stanno alla diversità e alla ricchezza degli atti
umani come l'industria pesante stava alle risorse naturali
e all'ambiente: le sfruttano senza un piano preciso e distruggono
più di quanto non creino" (38).
"[
] le culture interagiscono, cambiano, hanno
risorse che vanno oltre i loro ingredienti stabili e obiettivi
o, piuttosto, oltre quegli ingredienti che (alcuni) antropologi
hanno condensato in regole e leggi culturali inesorabili.
Considerando quanto le culture hanno imparato le une dalle
altre e quanto ingegnosamente hanno assemblato il materiale
così ottenuto, sono arrivato alla conclusione che
ogni cultura è in potenza tutte le culture e che
tratti culturali particolari sono manifestazioni intercambiabili
di una singola natura umana. La conclusione ha importanti
conseguenze politiche: le particolarità culturali
non sono inviolabili" (39).
Per cui se è vero che "La diversità non
può essere soppressa, né con la forza né
con la persuasione. La diversità è la ricchezza
spirituale della Terra, la sua libertà e la sua forza"
(40), come logica conseguenza si ha che "[
] in
quest'alternativa senza sbocco tra dimenticanza e perversione,
la comunità rischia di trasformarsi o in deserto
o in fortezza: o di scomparire dall'orizzonte di pensiero
come quelle stelle che improvvisamente finiscono di brillare
o di rovesciarsi nel proprio opposto: di dare voce, anziché
a ciò che abbatte i muri, a ciò che li innalza
e li fortifica. [
] Attraverso quale linguaggio è
oggi possibile rivolgere un'interrogazione radicale al tema
della comunità?" (41).
Il lasciare il gruppo di appartenenza a livello locale o
il non riuscire a trovare una corretta collocazione all'interno
di quelli esistenti potrebbe portare al disorientamento
etico, per il timore di perdere il sistema valoriale di
riferimento. Ma il nostro stesso essere richiama nella sua
stessa essenza l'esistenza delle radici dell'etica.
"I nostri cervelli, come altri sistemi organici, sono
però tali da inventarsi da soli dei valori. Per esempio
essi si aggrappano al loro proprio essere, conducono la
lotta per la sopravvivenza, la quale è un valore.
E fra gli uomini vi sono appunto alcuni che si preoccupano.
[
] In altre parole: il mondo non è privo di
valori; vi è almeno quell'unico valore nel mondo,
l'esistenza della responsabilità, che è meglio
della sua non-esistenza" (42).
"Noi siamo consapevoli del nostro essere uomini come
di un dover essere che non abbisogna di alcuna prescrizione
esterna. Io agisco liberamente se agisco così come
sono, vale a dire se realizzo ciò che sono. [
]
Tutte le cose e gli esseri viventi, incluso l'uomo, sono
quello che sono soltanto nell'essere-con assieme ad altri"
(43).
"L'incontro con Altri rappresenta immediatamente la
mia responsabilità per lui: la responsabilità
per il prossimo, che senza dubbio è l'austero nome
di ciò che si chiama l'amore del prossimo" (44).
Il valore universale diventa la con-vivenza con il mondo
intero, per la sopravvivenza del tutto.
"[
] è sempre a partire dal Volto, a partire
dalla responsabilità per Altri, che appare la giustizia,
la quale comporta giudizio e confronto, confronto con ciò
che per principio è incomparabile, poiché
ogni essere è unico: ogni altro è unico"
(45).
"Ci servono delle regole comuni del "vivere-insieme"
che, se si edificheranno su una morale accettabile a livello
mondiale e saranno rispettate da tutti, potranno sostituire
la cooperazione al confronto e frenare le angosce generate
dall'accelerazione dei cambiamenti nel mondo e da un potenziale
di violenza che cresce costantemente, e i bisogni di sicurezza
che ne risultano. E' così che si aprirà la
strada ad una mondializzazione più giusta, che non
sarà più orientata primariamente verso dei
fini economici, ma ad una lotta efficace alla povertà
nel mondo, alla prevenzione collettiva dei rischi ambientali
e alla nascita di una cultura mondiale capace di esprimersi
non in un'unica lingua ma in una vasta diversità
di lingue" (46).
"Ora, poiché con la comunanza (più o
meno stretta) tra i popoli della Terra, che alla fine ha
dappertutto prevalso, si è arrivati a tal punto che
la violazione di un diritto commessa in una parte del mondo
viene sentita in tutte le altre parti, allora l'idea di
un diritto cosmopolitico non appare più come un tipo
di rappresentazione chimerica ed esaltata del diritto, ma
come un necessario completamento del codice non scritto
sia del diritto politico sia del diritto internazionale
verso il diritto pubblico dell'umanità, e quindi
verso la pace perpetua, e solo a questa condizione possiamo
lusingarci di essere in costante cammino verso di essa"
(47).
"[
]io penso che i diritti dell'uomo siano una
istituzione extra-politica, che deve sussistere nella società
in modo del tutto indipendente dallo stato e dalle sue necessità.
[
] Oggi non ci sono profeti: forse la profezia può
essere sostituita da una più grande libertà
lasciata agli scrittori. E infine penso che la più
grande virtù della nostra società liberale
- che è ancora la migliore - sia la libertà
di opinione, di parola, di espressione, come garanzia per
la possibilità di una riparazione. È una modesta
proposta. E come ultima cosa raccomando l'attenzione di
ciascuno verso tutti, indipendentemente dall'organizzazione
[
]" (48).
Pur tenendo conto, quindi, dell'irriducibile spinta alla
conservazione delle nostre radici, oramai, per quanto detto
estremamente variegate e per ciò stesso ricostruibili
e comprensibili con grande difficoltà, l'estendersi
dell'orizzonte di senso del nostro personale vissuto a livello
planetario rende necessaria e auspicabile l'apertura del
nostro ego a quello dell'altro e attraverso questo al mondo
intero.
Senza l'incontro con l'altro non è possibile neanche
la percezione stessa del nostro tempo, la costruzione della
storia.
"La relazione con l'avvenire, la presenza dell'avvenire
nel presente sembra ancora realizzarsi nel faccia a facci
con altri [autrui]. La situazione del faccia a faccia sarebbe
la realizzazione stessa del tempo; lo sconfinamento del
presente nell'avvenire non fa parte del modo d'essere di
un soggetto solo, ma è la relazione intersoggettiva.
La condizione del tempo sta nel rapporto fra esseri umani
o nella storia" (49).
Ai nostri giorni questo processo si estende al di fuori
della usuale dimensionalità dello spazio - tempo,
dal momento che "[
] lo sviluppo della scienza
negli ultimi decenni, con Internet, ha creato un "cervello
planetario" estremamente più espanso e informato
del singolo cervello umano, che implica la parallela evoluzione
di una "coscienza planetaria"" (50).
Quindi "alla pazienza infinita della tradizione, che
ingloba in una stessa durata le età dei vivi e quelle
dei morti, e fa lavorare l'acqua viva del presente all'edificazione
di un muro contro il tempo" (51), si contrappone il
dinamismo di chi si situa nel nuovo orizzonte temporale
dell'immaginazione collettiva, "il segreto dello Spazio
del sapere è precisamente la possibilità tecnica,
effettiva, di mettere insieme le temporalità personali
per creare una soggettività collettiva e far ripercuotere
il tempo collettivo, emergente, sulle soggettività
individuali. Seguendo il ritmo che è loro proprio,
gli individui non sono dunque condannati all'isolamento"
(52).
È d'altro canto indubbio che l'apertura verso una
visione planetaria della società umana presenti,
allo stato attuale, una fortissima valenza utopica, non
priva di grosse contraddizioni, vista la suddivisione ineguale
delle risorse fra le popolazioni umane che occupano l'odierno
spazio antropico.
"Il processo di globalizzazione è appunto qualche
cosa di estremamente complesso e contraddittorio. Si può
dire che includa escludendo, che unisca dividendo. Cioè
il mondo è sempre più unito sotto il profilo
tecnologico, sotto il profilo economico, sotto il profilo
finanziario e culturale, ma è anche sempre più
diviso sotto il profilo sociale, sotto il profilo delle
effettive opportunità. [
] la tecnica stessa,
in ogni sua forma, in ogni sua manifestazione e in ogni
settore, ha unificato il mondo. Ha consentito che si parli
tutti la stessa lingua, che è l'inglese, con lo stesso
lessico, gli stessi concetti, le stesse parole. E questa
unificazione linguistica è certamente rafforzata
dai grandi mezzi di comunicazione, dalla televisione innanzi
tutto, così come da Internet. [
] Ma la tecnica
divide anche, perché [
] non concede a tutti
gli abitanti del mondo la possibilità di entrare
in Internet o di accendere una televisione. E anche se questo
accadesse non possiamo dimenticare che i flussi mediatici,
economici, finanziari sono concentrati dentro certi circuiti,
escludendone altri. Anzi, tale concentrazione, è
basata proprio sul fatto che in altri circuiti c'è
povertà" (53).
Il problema non è di facile definizione, né
risolubile semplicisticamente, com'è ovvio, ma tutto
ciò non esclude la possibilità, che il miglioramento
dell'agire comunicativo fra gli umani, in ogni caso rappresentato
dalla rete delle reti, inneschi anche un processo di pacificazione
del globo, se "[
] potremo utilizzare computer
e Internet in modo estremamente ecologico ed avere una incredibile
porta aperta sul pianeta, un canale di conoscenza che potrebbe
portare, in tempi brevissimi, un enorme aumento di consapevolezza
planetaria. [
] È un processo opposto a quello
della Torre di Babele, è la creazione di una comunicazione
universale, di un modo di pensare basato sull'accettazione
e il rispetto delle differenze razziali e culturali, di
contatto umano" (54).
C'è chi afferma che "la diversità deve
poter coesistere all'interno di un'unica cultura planetaria.
La nascita di una cultura globale non significa la morte,
il livellamento o l'amalgamarsi delle vecchie culture, che
si spera continueranno ad esistere, ma certamente la morte
di un modo di pensare profondamente radicato nella nostra
stessa mente, la fine della logica della divisione. [
]
si creerà una vera e propria società planetaria
trasversale, più innovativa e libera del passato,
che darà origine ad una cultura universale. Questa
sarà una nuova sottopopolazione dalle caratteristiche
multietniche e dalle indefinibili matrici culturali, una
moltitudine di singoli individui e gruppi che si sentiranno
veramente "cittadini del pianeta"" (55).
E in questo voglio credere. Sarà forse come un messaggio
di speranza lanciato nel cyberspazio, che tutti noi stiamo
contribuendo a creare e di cui dobbiamo prender coscienza,
un grande mondo iperdimensionale, al di là dell'usuale
percezione dello spazio e del tempo, fino ai più
remoti angoli del nostro pianeta, in una nuova realtà,
dove "i messaggi [
] interagiscono e si chiamano
da un capo all'altro di una superficie continua deterritorializzata"
e "i membri dei collettivi molecolari comunicano trasversalmente,
reciprocamente, al di là delle categorie, piegando
e ripiegando, cucendo e ricucendo, complicando a piacere
il grande tessuto metamorfico delle città pacifiche"
(56).
NOTE
(1) Pierre Lévy, 2002 - L'intelligenza collettiva.
Feltrinelli "Universale economica", Milano, pag.
208.
(2) K. M. Meyer-Abich, 1998 - Fondazione di un'etica olistica.
In S. Dellavalle, Per un agire ecologico, Baldini &
Castoldi, pag. 73.
(3) M. Tallacchini, 1998 - Etiche della Terra. Ed. Vita
e Pensiero, pag. 12.
(4) P. G. Pagano, 2002 - Filosofia Ambientale. Mattioli
1885, pag. 31.
(5) M. Tallacchini, 1998 - Etiche della Terra. Ed. Vita
e Pensiero, pag. 13.
(6) E. Morin, in Ernesto Balducci - Edgar Morin, Ripensare
la politica - (2) dal sito http://www.bdp.it/content/index.php?action=read&id=265#1,
Appunti dalla discussione svoltasi tra i due pensatori il
17 gennaio 1991, primo giorno della Prima Guerra del Golfo.
(7) Pierre Lévy, 2002 - L'intelligenza collettiva.
Feltrinelli "Universale economica", Milano, pag.
27.
(8) Eraclito, da De Bartolomeo, Magni, 2001 - Filosofia.
Tomo 1, ATLAS, pag. 237.
(9) Niles Eldredge, 1999 - Ripensare Darwin. Biblioteca
Einaudi, pag. 195.
(10) Ibid., pag. 174.
(11) Ibid., pag. 185.
(12) Ibid., pag. 202.
(13) Ibid., pag. 198.
(14) Ibid., pag. 210.
(15) Ibid., pagg. 213-214.
(16) Ibid., pag. 214.
(17) D. Antiseri, 1999 - Karl Popper. Ed. Rubbettino, pagg.
185-186.
(18) D. Antiseri, 1996 - Trattato di metodologia delle scienze
sociali. UTET, pag. 24.
(19) Pierre Lévy, 2002 - L'intelligenza collettiva.
Feltrinelli "Universale economica", Milano pag.
176.
(20) Immanuel Kant, 2003 - Per la pace perpetua. Universale
Economica Feltrinelli, pag. 65.
(21) Genesi, 11, 1 - 11, 9.
(22) N. F. Montecucco, 2001 - La visione olistica. Edizioni
Mediterranee, pag. 307.
(23) P. K. Feyerabend, 1996 - Ambiguità e armonia.
Editori Laterza, pag. 108.
(24) Pierre Lévy, 2002 - L'intelligenza collettiva.
Feltrinelli "Universale economica", Milano, pag.
177.
(25) P. K. Feyerabend, 1996 - Ambiguità e armonia.
Editori Laterza, pag. 137.
(26) Roberto Esposito, La comunità fuori dal comune,
L'Unita' - 10 GENNAIO 2002, dal sito http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/020110d.htm.
(27) Hans Jonas, 2000 - Sull'orlo dell'abisso, conversazioni
sul rapporto tra uomo e natura. Einaudi, pagg. 18-19.
(28) Z. Bauman, in Il Corriere della sera, 20 giugno 2003
- L'identità è come un vestito, si usa finché
serve. Dal sito http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/030620a.htm.
(29) Mbacke Gadji, 2000 - Pap, Ngagne, Yatt e gli altri,
Edizioni dell'Arco, pagg. II-III introduz.
(30) E. Morin, in Ernesto Balducci - Edgar Morin, Ripensare
la politica - (2) dal sito http://www.bdp.it/content/index.php?action=read&id=265#1,
Appunti dalla discussione svoltasi tra i due pensatori il
17 gennaio 1991, primo giorno della Prima Guerra del Golfo.
(31) M. Tallacchini, 1998 - Etiche della Terra. Ed. Vita
e Pensiero, pag. 17.
(32) Pierre Lévy, 2002 - L'intelligenza collettiva.
Feltrinelli "Universale economica", Milano, pagg.
82-83.
(33) P. K. Feyerabend, 1994 - Ammazzando il tempo. Editori
Laterza, pag. 59.
(34) Un mondo di giustizia e di pace non somiglia al vostro,
di ATTAC Germania, dal sito http://www.swif.uniba.it/lei/recensioni/swirt/globalizzazione/contro%20la%20guerra.pdf,
data di pubblicazione su www.attac.it 01 luglio 2002.
(35) Immanuel Kant, 2003 - Per la pace perpetua. Universale
Economica Feltrinelli, pagg. 77-78.
(36) Pierre Lévy, 2002 - L'intelligenza collettiva.
Feltrinelli "Universale economica", Milano, pag.
54.
(37) P. K. Feyerabend, Science in a Free Society, NLB Londra,
1978 in D. Antiseri, 1996 - Trattato di metodologia delle
scienze sociali. UTET, pag. 413.
(38) Pierre Lévy, 2002 - L'intelligenza collettiva.
Feltrinelli "Universale economica", Milano, pag.
66.
(39) P. K. Feyerabend, 1994 - Ammazzando il tempo. Editori
Laterza, pagg. 170-171.
(40) N. F. Montecucco, 2001 - La visione olistica. Edizioni
Mediterranee, pag. 309.
(41) Roberto Esposito, La comunità fuori dal comune,
L'Unita' - 10 GENNAIO 2002, dal sito http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/020110d.htm.
(42) Hans Jonas, 2000 - Sull'orlo dell'abisso, conversazioni
sul rapporto tra uomo e natura. Einaudi, pagg. 39-40.
(43) K. M. Meyer-Abich, 1998 - Fondazione di un'etica olistica.
In S. Dellavalle, Per un agire ecologico, Baldini &
Castoldi, pag. 75.
(44) E. Lévinas, 1985 - Aut-Aut, da De Bartolomeo,
Magni, 2001 - Filosofia. Tomo 5, ATLAS, pag. 690.
(45) Ibid.
(46) Un mondo di giustizia e di pace non somiglia al vostro,
di ATTAC Germania, dal sito http://www.swif.uniba.it/lei/recensioni/swirt/globalizzazione/contro%20la%20guerra.pdf,
data di pubblicazione su www.attac.it 01 luglio 2002.
(47) Immanuel Kant, 2003 - Per la pace perpetua. Universale
Economica Feltrinelli, pag. 68.
(48) in La cattiva coscienza dell'Europa, Intervista inedita
a Emmanuel Lévinas, di Renato Parascandolo, dal sito
http://www.educational.rai.it/mat/dr/inlevina.asp.
(49) E. Lévinas, 2001 - Il Tempo e l'Altro. Ed. Il
melangolo, pag. 49.
(50) N. F. Montecucco, 2001 - La visione olistica. Edizioni
Mediterranee, pag. 337.
(51) Pierre Lévy, 2002 - L'intelligenza collettiva.
Feltrinelli "Universale economica", Milano, pag.
131.
(52) Ibid., pag. 180.
(53) Roberto Esposito, Che cos'è l'Uguaglianza, Il
Grillo, 8/1/2002, dal sito http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=878.
(54) N. F. Montecucco, 2001 - La visione olistica. Edizioni
Mediterranee, pag. 338.
(55) Ibid., pag. 309.
(56) Pierre Lévy, 2002 - L'intelligenza collettiva.
Feltrinelli "Universale economica", Milano, pag.
68.
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