giornalediconfine.net

 

Bianca Ruggeri

Scrittura e nuovi Media

 

B. Ruggeri, Scrittura e nuovi Media, in "XÁOS. Giornale di confine",Anno IV, N.1 Marzo -Giugno 2005/2006 URL:
http://www.giornalediconfine.net/n_4/6.htm

 

Come si evolve la scrittura nell'era delle nuove tecnologie? Le nuove forme di comunicazione e la fluidità inafferrabile della testualità digitale non ci dicono qualcosa di decisivo intorno al destino della scrittura? Fino a quando il paradigma alfabetico potrà esaurientemente analizzare, riprodurre, rappresentare la complessità della realtà?

Queste alcune delle importanti questioni discusse nel recente convegno Scrittura e nuovi media, organizzato dal Dipartimento di Linguistica dell'Università di Roma Tre il, 21 e 22 ottobre 2004. Alle due giornate sono intervenuti studiosi e studiose di provenienze disciplinari eterogenee oltre a un folto e partecipe pubblico di insegnanti, studenti, professionisti.
Gli interventi di ispirazione più strettamente linguistica, gravitanti intorno al monitoraggio e all'analisi dell'evoluzione dell'italiano attraverso e all'interno dei nuovi media, si sono esplicati nella descrizione della lingua nei contesti comunicativi "nuovi" delle interazioni sincrone (chat), degli sms, dei siti internet, del televideo. Franca Orletti e Giuliana Fiorentino (entrambe di Roma Tre e insieme a Domenico Fiormonte promotori del convegno) richiamano l'attenzione su tali forme che innovano le modalità della comunicazione, richiedendo alla linguistica stessa un affinamento dei propri strumenti d'analisi. I peculiari fenomeni linguistici e semiotici che si verificano nella comunicazione sincrona in rete devono essere studiati come uno specifico modo di interagire immerso in una pluralità di contesti non paragonabili al contesto della comunicazione face to face. La scrittura cooperativa nella rete è una forma particolare di socializzazione più spesso di gruppo che individuale, che dà prodotti fortemente orientati sulla dimensione fàtica e dialogica, dimensioni interazionali che tradizionalmente costituiscono lo spazio comunicativo dello scambio orale. Sms, chat, blog, analizzati nella peculiarità dei fenomeni linguistici e degli innovativi meccanismi di comunicazione sono stati anche oggetto di focalizzati e sintetici profili nei poster redatti da studenti e dottorandi, che hanno incorniciato i luoghi del convegno.

Sull'interpretazione del nuovo profilo che negli ultimi anni la scrittura e in genere la comunicazione evidentemente assumono, si sono confrontati antropologi, psicologi, filosofi, sociologi, pedagogisti, professionisti della comunicazione. Una prospettiva rigorosamente multidisciplinare ha consentito una straordinaria circolarità di interrogativi e temi, in cui le suggestioni, l'urgenza storico-intellettuale della questione potessero suggerire la praticabilità di operative ipotesi di ricerca sulla sfaccettata natura delle problematiche affrontate: la ridefinizione della dicotomia scrittura/oralità sul terreno dei media digitali, la funzione politica della scrittura nell'interazione sociale, le nuove forme di scrittura imposte dalle nuove tecnologie, fino alla natura strettamente teorica dell'atto di scrittura, il suo legame con la memoria e la ri-creazione dell'identità del soggetto, le proposte di formazione della competenza della scrittura come pratica tecnico-professionale, come urgenza didattica nella formazione universitaria.
L'antropologo Alessandro Duranti (University of California), con una suggestiva relazione multimediale sulle potenzialità dell'oralità ("with attitude") richiama l'attenzione su alcuni particolari contesti in cui la scrittura è sentita come un ostacolo all'espressione. Ad esempio nell'ambito della comunità Samoana niente del sapere tradizionale può essere trasmesso per iscritto, imparare significa vivere nella comunità, sperimentare l'interazione, ascoltare. Allo stesso tempo la tradizione del Jazz esemplarmente rappresenta una modalità che non si serve se non episodicamente della scrittura, e comunque in cui la creazione, l'apprendimento, l'improvvisazione si fondano più sull'ascolto, sull'imitazione, sull'attenzione alla gestualità e al suono nella cooperazione all'interno del gruppo.
Ricostruire i modi in cui si sviluppa una comunicazione in prevalenza orale conduce ad osservare la persistenza non tanto di elementi di formularità/ripetitività, piuttosto a riconoscere come la fertilità di tale forma di trasmissione di sapere si verifichi in una pratica aperta e circolare, essenzialmente funzionale alla spontaneità, alla creatività, alla sperimentazione.
Se risollevare il problema dell'oralità sembra legato a particolari e specifici contesti antropologici, il filosofo Rocco Ronchi (Università de L'Aquila) ricorda però l'antica (occidentale) pratica platonica del dialogo, della conoscenza come esperienza conversativa. Se proprio la stessa etimologia della parola comunicazione (cum- munus) riporta ai concetti di condivisione e dono, ecco che la comunicazione può verificarsi essenzialmente solo come processo vivo che si sviluppi nella durata.
Si rivela dunque una forzatura storica identificarla univocamente con la scrittura, in ottemperanza alla teoria standard (Shannon e Weaver) che si serve del paradigma tecnologico della trasmissione del messaggio mobile per definire la comunicazione come trasmissione in absentia - e definitivamente desomatizzarla - demonizzando come ostacolo il rumore (l'altro da sé).
Se non si vuole dunque continuare a incorrere nell'incertezza e nell'incapacità di comprensione e gestione dell'universo dei nuovi media è dunque necessaria una rifondazione teorica del concetto di comunicazione che la rilegga non come prodotto, bensì come processo, atto vivente.
Alberto Abruzzese (Università di Roma La Sapienza), sociologo della comunicazione tra i primi teorici in Italia dei nuovi media, invoca una ridiscussione e un abbandono della tradizionale pratica culturale occidentale fondata sul mito della conservazione, protezione, monumentalizzazione della comunicazione scritta. L'alfabeto, strumento gerarchico attraverso cui il potere si disegna e definisce, subisce l'imponente affiancamento di nuove forme di comunicazione spontanee e indotte dallo sviluppo delle tecnologie. La fluida realtà delle nuove forme di comunicazione, creazione e apprendimento che investono e coinvolgono soprattutto le generazioni più giovani, rendendole così sfuggenti ad un qualsiasi tipo di analisi intellettuale tradizionale chiede urgentemente l'accettazione della deriva della razionalità dialettica occidentale che proprio sulla sequenzialità definitiva della scrittura lineare si impernia. Oggi può essere più utile tentare di comprendere il tramonto di quell'epoca che nel libro e nella città aveva trovato i suoi simboli, a favore della progettazione di un'altra in cui il già avvenuto sviluppo di sensorialità multiple possa servire alla creazione di nuovi ambienti formativi, puntando su quelle potenzialità che i nuovi media hanno di colmare lo scarto tra alfabetizzati e analfabeti, tra abili e disabili.
L'attaccamento al paradigma alfabetico non si spiega dinanzi alle contraddizioni sociali e politiche dei sistemi di potere di cui è primo principio informatore. Come in origine la scrittura ha spezzato l'unità del corpo e sostituito quel faccia a faccia che era indispensabile per comunicare, fare l'amore, abitare, vivere, oggi il trionfante rientro dell'oralità nelle modalità di relazione non può non far riflettere sull'esistenza di una nuova dimensione del tempo e dello spazio (globale/locale=scritto/orale) che chiedono urgentemente di essere codificate e ri-comprese, assieme al vacillante statuto dell'individuo-soggetto.
Perché questo avvenga è necessario che la scuola e l'università, in qualità di istituzioni che il potere deputa alla formazione, si facciano anch'esse carico della strumentazione necessaria a comprendere questa rivoluzione.
Su questi presupposti dunque dovrebbe basarsi anche la pratica degli educatori - a confermarlo è Roberto Maragliano (Università Roma Tre) - dai quali si deve pretendere un avvicinamento alla prospettiva dei giovani. Questo deve avvenire nel senso della comprensione dell'universo in cui essi sono nati e cresciuti, di un percorso che li ha visti incontrare il computer sulla loro strada e avvicinarlo attraverso la pratica del gioco, un universo in cui il testo non ha più le classiche caratteristiche di univocità, individualità, testualità, fissità, ma che si sviluppa invece intorno ai concetti di non finito, condiviso, reticolarità, dialogico. Significa insegnare innanzitutto la pratica del linking, del riordinare e collegare quei contenuti che oggi sono universalmente e facilmente accessibili. Significa filtrare la testualità attraverso la presenza e il contatto. Senza dimenticare come la scrittura comporti sempre a un tempo una definizione e una fondazione di identità, ma essendo coscienti di come la rimediazione della scrittura fatta dalle nuove tecnologie metta in crisi il paradigma classico del testo e dunque dell'insegnamento.
E lo studio della letteratura?
Senz'altro la conservazione, lo studio, la filologia della testualità letteraria funge da controcanto (contrappeso?) ad una tale direzione di ristrutturazione del pensiero contemporaneo. Corrado Bologna (Università Roma Tre), non presente con una relazione ma attivo discussant, richiama il Calvino delle Lezioni Americane: "ci sono cose che solo la letteratura può dare coi suoi mezzi specifici". E in fondo, chi potrebbe contraddirlo?
Ma i ritmi del riassestamento del pensiero accademico sono risaputamente lenti e spesso postumi, pure però l'attuale situazione della scrittura chiede di essere codificata e interpretata e evidentemente richiede la generazione di nuovi modelli di lettura. La riluttanza e il ritardo delle facoltà umanistiche nel senso di una presa di coscienza operativa della situazione stavolta rischia di essere particolarmente pericolosa, stante la sempre più traballante presenza della cultura, anche istituzionale, nella società. Comprendere la realtà significa anche affrontare le evoluzioni innescate dalle nuove tecnologie.
Intanto una riconsiderazione pragmatica delle forme della scrittura anche 'altre' dalla letteratura, la coscienza critica del suo ruolo, delle sue potenzialità, della sua importanza 'politica' strategica nella società deve ispirare da un lato un'adeguata attenzione ai suoi sviluppi, dall'altro l'affinamento e l'allargamento delle strategie di insegnamento.
Duccio Demetrio (Università di Milano Bicocca) auspica la diffusione di un particolare tipo di scrittura, quella autobiografica - e di cui già il web offre peculiari varianti cfr. blog, webcam - perché essenziale esercizio cognitivo di registrazione del sé, ripensamento della memoria e di quell'interiorità opalescente così difficile da decodificare. La scrittura autobiografica implica un progetto autoformativo e pedagogico di ristrutturazione del pensiero e della coscienza. Mancando il suo impossibile obiettivo di "copiare" l'identità in quanto comunque proiezione soggettiva e narrativa del sè, un tale tipo di scrittura conserva però intatte le potenzialità progettuali e creative.
La psicologa Clotilde Pontecorvo (Università di Roma La Sapienza) ricorda come anche osservando le scritture dei bambini in età prescolare, possiamo rintracciare un bisogno naturale nonché una straordinaria facilità di attivazione dei meccanismi della narrazione e della costruzione del senso attraverso il segno grafico, una scrittura che è spesso trascrizione performante, registrazione in movimento del concetto. E anche laddove la padronanza dell'alfabeto non sia stata sviluppata, va notato come tuttavia se ne senta il bisogno e si operino delle strategie di co-adattamento tra esigenza comunicativa e uso del mezzo che danno luogo a risultati altamente espressivi.
In relazione alla denuncia dei più recenti - e inquietanti - dati sull'analfabetismo di ritorno degli studenti universitari, sulla mancata competenza di scrittura di ampie fasce professionali, sui compiti disattesi della formazione, sul ritardo dell'aggiornamento della scuola e dell'istruzione superiore intorno al tema della scrittura si sviluppano le proposte di Dario Corno (Università del Piemonte Orientale) e Luisa Carrada (Finsiel). L'uno insiste sulla necessità di sviluppare corsi di formazione di scrittura tecnico-professionale, in cui l'obiettivo sia insegnare anche a studenti di materie non umanistiche a scrivere testi referenziali il più possibile chiari, rigorosi, convincenti e supplire alle riscontrate e documentate deficienze nella capacità di strutturazione delle informazioni nella pagina e nell'uso della segnaletica testuale. L'altra (http://www.mestierediscrivere.com) si concentra sul bisogno delle competenze di scrittura da parte delle aziende più attente al fronte della comunicazione, notando come in questi settori l'email, le intranet, e lo sviluppo di una comunicazione esterna, richiedano sempre più una formazione di tutti i dipendenti nella direzione di una padronanza della scrittura.
Emanuela Piemontese (Università di Roma La Sapienza) ricorda la ventennale attività del gruppo di Tullio De Mauro, un monitoraggio attento delle capacità di scrittura e comunicazione nel mondo della scuola e del lavoro, e l'attivazione di corsi per insegnanti delle scuole elementari e medie, laboratori con alcuni settori del sindacato Cgil, la collaborazione con alcuni settori della pubblica amministrazione italiana, il progetto Dueparole, l'osservatorio Giscel, i corsi di scrittura controllata per gli studenti de La Sapienza.
Accanto alle competenze di scrittura, i nuovi media impongono la conoscenza dei meccanismi di digitalizzazione, della pluralità di strati profondi e non trasparenti dei linguaggi software. Giulio Lughi (Università degli studi di Torino) ricorda come, sotteso al funzionamento dei computer, scorra un tempo ciclico dell'algoritmo di programmazione e come anche attraverso i linguaggi software si esprima una conoscenza e un tempo. I vari livelli di stratificazione dei programmi scrivono (i linguaggi xml/html nominano gerarchicamente lessicalizzando), così come scrivono le telecamere, i circuiti chiusi, le carte di credito etc. Questo tipo di scrittura è una forma a un tempo di controllo e di biografia: movimenti, gesti, spostamenti vengono continuamente registrati, ogni singolo individuo vanta la sua presenza nei database del Panopticon in cui si ritrova a vivere. La narrazione che le macchine fanno e che gli uomini utilizzano spesso senza coscienza, si fondano su informazioni frammentarie eppure espressive. L'ignoranza e l'indifferenza degli umanisti in questo campo è un grave errore di valutazione e una rinuncia a indagare e interpretare la relazione semantica input/output. I computer ci mappano: è il nostro movimento nello spazio/tempo che scrive il discorso, facendo parole con le cose. Impedire che il pc nasconda sempre di più i suoi meccanismi significa diffondere una conoscenza tecnica del suo funzionamento anche in ambienti diversi da quello tecnico-informatico.

La nostra epoca impone dunque un ripensamento e la necessaria coesistenza delle due faglie confliggenti: ciò significa lavorare per una maggiore diffusione delle competenze della scrittura, quando nel frattempo è in atto una ristrutturazione della comunicazione attraverso altre forme in cui anche la scrittura sembra perdere il suo ruolo privilegiato. Affrontare il presente in funzione di una prospettiva etica di apertura al futuro impone una preparazione e un affinamento degli strumenti e una pluralità di prospettive di indagine.
Solo alla metà degli anni Ottanta le Lezioni americane chiudono con una domanda, un invito e in fondo una speranza:

[...] chi siamo noi, chi è ciascuno di noi se non una combinatoria d'esperienze, di letture, d'informazioni, di letture, di immaginazioni? Ogni vita è un'enciclopedia, una biblioteca, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili. Ma forse la risposta che mi sta più a cuore dare è un'altra: magari fosse possibile un'opera concepita al di fuori del self, un'opera che ci permettesse d'uscire dalla nostra prospettiva limitata d'un io individuale, non solo per entrare in altri io simili al nostro, ma per far parlare ciò che non ha parola, l'uccello che si posa sulla grondaia, l'albero in primavera e l'albero in autunno, la pietra, il cemento, la plastica...
(Italo Calvino, Lezioni Americane, Garzanti, Milano 1988, p. 120)

La speranza che gli uomini non rinuncino ad interrogarsi, esplorare, capire, senza paura di dar voce al diverso, al nuovo, l'estraneo.