Come
si evolve la scrittura nell'era delle nuove tecnologie? Le nuove forme di comunicazione
e la fluidità inafferrabile della testualità digitale non ci dicono
qualcosa di decisivo intorno al destino della scrittura? Fino a quando il paradigma
alfabetico potrà esaurientemente analizzare, riprodurre, rappresentare
la complessità della realtà? Queste
alcune delle importanti questioni discusse nel recente convegno Scrittura e nuovi
media, organizzato dal Dipartimento di Linguistica dell'Università di Roma
Tre il, 21 e 22 ottobre 2004. Alle due giornate sono intervenuti studiosi e studiose
di provenienze disciplinari eterogenee oltre a un folto e partecipe pubblico di
insegnanti, studenti, professionisti. Gli interventi di ispirazione più
strettamente linguistica, gravitanti intorno al monitoraggio e all'analisi dell'evoluzione
dell'italiano attraverso e all'interno dei nuovi media, si sono esplicati nella
descrizione della lingua nei contesti comunicativi "nuovi" delle interazioni
sincrone (chat), degli sms, dei siti internet, del televideo. Franca Orletti e
Giuliana Fiorentino (entrambe di Roma Tre e insieme a Domenico Fiormonte promotori
del convegno) richiamano l'attenzione su tali forme che innovano le modalità
della comunicazione, richiedendo alla linguistica stessa un affinamento dei propri
strumenti d'analisi. I peculiari fenomeni linguistici e semiotici che si verificano
nella comunicazione sincrona in rete devono essere studiati come uno specifico
modo di interagire immerso in una pluralità di contesti non paragonabili
al contesto della comunicazione face to face. La scrittura cooperativa nella rete
è una forma particolare di socializzazione più spesso di gruppo
che individuale, che dà prodotti fortemente orientati sulla dimensione
fàtica e dialogica, dimensioni interazionali che tradizionalmente costituiscono
lo spazio comunicativo dello scambio orale. Sms, chat, blog, analizzati nella
peculiarità dei fenomeni linguistici e degli innovativi meccanismi di comunicazione
sono stati anche oggetto di focalizzati e sintetici profili nei poster redatti
da studenti e dottorandi, che hanno incorniciato i luoghi del convegno. Sull'interpretazione
del nuovo profilo che negli ultimi anni la scrittura e in genere la comunicazione
evidentemente assumono, si sono confrontati antropologi, psicologi, filosofi,
sociologi, pedagogisti, professionisti della comunicazione. Una prospettiva rigorosamente
multidisciplinare ha consentito una straordinaria circolarità di interrogativi
e temi, in cui le suggestioni, l'urgenza storico-intellettuale della questione
potessero suggerire la praticabilità di operative ipotesi di ricerca sulla
sfaccettata natura delle problematiche affrontate: la ridefinizione della dicotomia
scrittura/oralità sul terreno dei media digitali, la funzione politica
della scrittura nell'interazione sociale, le nuove forme di scrittura imposte
dalle nuove tecnologie, fino alla natura strettamente teorica dell'atto di scrittura,
il suo legame con la memoria e la ri-creazione dell'identità del soggetto,
le proposte di formazione della competenza della scrittura come pratica tecnico-professionale,
come urgenza didattica nella formazione universitaria. L'antropologo Alessandro
Duranti (University of California), con una suggestiva relazione multimediale
sulle potenzialità dell'oralità ("with attitude") richiama
l'attenzione su alcuni particolari contesti in cui la scrittura è sentita
come un ostacolo all'espressione. Ad esempio nell'ambito della comunità
Samoana niente del sapere tradizionale può essere trasmesso per iscritto,
imparare significa vivere nella comunità, sperimentare l'interazione, ascoltare.
Allo stesso tempo la tradizione del Jazz esemplarmente rappresenta una modalità
che non si serve se non episodicamente della scrittura, e comunque in cui la creazione,
l'apprendimento, l'improvvisazione si fondano più sull'ascolto, sull'imitazione,
sull'attenzione alla gestualità e al suono nella cooperazione all'interno
del gruppo. Ricostruire i modi in cui si sviluppa una comunicazione in prevalenza
orale conduce ad osservare la persistenza non tanto di elementi di formularità/ripetitività,
piuttosto a riconoscere come la fertilità di tale forma di trasmissione
di sapere si verifichi in una pratica aperta e circolare, essenzialmente funzionale
alla spontaneità, alla creatività, alla sperimentazione. Se
risollevare il problema dell'oralità sembra legato a particolari e specifici
contesti antropologici, il filosofo Rocco Ronchi (Università de L'Aquila)
ricorda però l'antica (occidentale) pratica platonica del dialogo, della
conoscenza come esperienza conversativa. Se proprio la stessa etimologia della
parola comunicazione (cum- munus) riporta ai concetti di condivisione e dono,
ecco che la comunicazione può verificarsi essenzialmente solo come processo
vivo che si sviluppi nella durata. Si rivela dunque una forzatura storica identificarla
univocamente con la scrittura, in ottemperanza alla teoria standard (Shannon e
Weaver) che si serve del paradigma tecnologico della trasmissione del messaggio
mobile per definire la comunicazione come trasmissione in absentia - e definitivamente
desomatizzarla - demonizzando come ostacolo il rumore (l'altro da sé).
Se non si vuole dunque continuare a incorrere nell'incertezza e nell'incapacità
di comprensione e gestione dell'universo dei nuovi media è dunque necessaria
una rifondazione teorica del concetto di comunicazione che la rilegga non come
prodotto, bensì come processo, atto vivente. Alberto Abruzzese (Università
di Roma La Sapienza), sociologo della comunicazione tra i primi teorici in Italia
dei nuovi media, invoca una ridiscussione e un abbandono della tradizionale pratica
culturale occidentale fondata sul mito della conservazione, protezione, monumentalizzazione
della comunicazione scritta. L'alfabeto, strumento gerarchico attraverso cui il
potere si disegna e definisce, subisce l'imponente affiancamento di nuove forme
di comunicazione spontanee e indotte dallo sviluppo delle tecnologie. La fluida
realtà delle nuove forme di comunicazione, creazione e apprendimento che
investono e coinvolgono soprattutto le generazioni più giovani, rendendole
così sfuggenti ad un qualsiasi tipo di analisi intellettuale tradizionale
chiede urgentemente l'accettazione della deriva della razionalità dialettica
occidentale che proprio sulla sequenzialità definitiva della scrittura
lineare si impernia. Oggi può essere più utile tentare di comprendere
il tramonto di quell'epoca che nel libro e nella città aveva trovato i
suoi simboli, a favore della progettazione di un'altra in cui il già avvenuto
sviluppo di sensorialità multiple possa servire alla creazione di nuovi
ambienti formativi, puntando su quelle potenzialità che i nuovi media hanno
di colmare lo scarto tra alfabetizzati e analfabeti, tra abili e disabili. L'attaccamento
al paradigma alfabetico non si spiega dinanzi alle contraddizioni sociali e politiche
dei sistemi di potere di cui è primo principio informatore. Come in origine
la scrittura ha spezzato l'unità del corpo e sostituito quel faccia a faccia
che era indispensabile per comunicare, fare l'amore, abitare, vivere, oggi il
trionfante rientro dell'oralità nelle modalità di relazione non
può non far riflettere sull'esistenza di una nuova dimensione del tempo
e dello spazio (globale/locale=scritto/orale) che chiedono urgentemente di essere
codificate e ri-comprese, assieme al vacillante statuto dell'individuo-soggetto. Perché
questo avvenga è necessario che la scuola e l'università, in qualità
di istituzioni che il potere deputa alla formazione, si facciano anch'esse carico
della strumentazione necessaria a comprendere questa rivoluzione. Su questi
presupposti dunque dovrebbe basarsi anche la pratica degli educatori - a confermarlo
è Roberto Maragliano (Università Roma Tre) - dai quali si deve pretendere
un avvicinamento alla prospettiva dei giovani. Questo deve avvenire nel senso
della comprensione dell'universo in cui essi sono nati e cresciuti, di un percorso
che li ha visti incontrare il computer sulla loro strada e avvicinarlo attraverso
la pratica del gioco, un universo in cui il testo non ha più le classiche
caratteristiche di univocità, individualità, testualità,
fissità, ma che si sviluppa invece intorno ai concetti di non finito, condiviso,
reticolarità, dialogico. Significa insegnare innanzitutto la pratica del
linking, del riordinare e collegare quei contenuti che oggi sono universalmente
e facilmente accessibili. Significa filtrare la testualità attraverso la
presenza e il contatto. Senza dimenticare come la scrittura comporti sempre a
un tempo una definizione e una fondazione di identità, ma essendo coscienti
di come la rimediazione della scrittura fatta dalle nuove tecnologie metta in
crisi il paradigma classico del testo e dunque dell'insegnamento. E lo studio
della letteratura? Senz'altro la conservazione, lo studio, la filologia della
testualità letteraria funge da controcanto (contrappeso?) ad una tale direzione
di ristrutturazione del pensiero contemporaneo. Corrado Bologna (Università
Roma Tre), non presente con una relazione ma attivo discussant, richiama il Calvino
delle Lezioni Americane: "ci sono cose che solo la letteratura può
dare coi suoi mezzi specifici". E in fondo, chi potrebbe contraddirlo? Ma
i ritmi del riassestamento del pensiero accademico sono risaputamente lenti e
spesso postumi, pure però l'attuale situazione della scrittura chiede di
essere codificata e interpretata e evidentemente richiede la generazione di nuovi
modelli di lettura. La riluttanza e il ritardo delle facoltà umanistiche
nel senso di una presa di coscienza operativa della situazione stavolta rischia
di essere particolarmente pericolosa, stante la sempre più traballante
presenza della cultura, anche istituzionale, nella società. Comprendere
la realtà significa anche affrontare le evoluzioni innescate dalle nuove
tecnologie. Intanto una riconsiderazione pragmatica delle forme della scrittura
anche 'altre' dalla letteratura, la coscienza critica del suo ruolo, delle sue
potenzialità, della sua importanza 'politica' strategica nella società
deve ispirare da un lato un'adeguata attenzione ai suoi sviluppi, dall'altro l'affinamento
e l'allargamento delle strategie di insegnamento. Duccio Demetrio (Università
di Milano Bicocca) auspica la diffusione di un particolare tipo di scrittura,
quella autobiografica - e di cui già il web offre peculiari varianti cfr.
blog, webcam - perché essenziale esercizio cognitivo di registrazione del
sé, ripensamento della memoria e di quell'interiorità opalescente
così difficile da decodificare. La scrittura autobiografica implica un
progetto autoformativo e pedagogico di ristrutturazione del pensiero e della coscienza.
Mancando il suo impossibile obiettivo di "copiare" l'identità
in quanto comunque proiezione soggettiva e narrativa del sè, un tale tipo
di scrittura conserva però intatte le potenzialità progettuali e
creative. La psicologa Clotilde Pontecorvo (Università di Roma La Sapienza)
ricorda come anche osservando le scritture dei bambini in età prescolare,
possiamo rintracciare un bisogno naturale nonché una straordinaria facilità
di attivazione dei meccanismi della narrazione e della costruzione del senso attraverso
il segno grafico, una scrittura che è spesso trascrizione performante,
registrazione in movimento del concetto. E anche laddove la padronanza dell'alfabeto
non sia stata sviluppata, va notato come tuttavia se ne senta il bisogno e si
operino delle strategie di co-adattamento tra esigenza comunicativa e uso del
mezzo che danno luogo a risultati altamente espressivi. In relazione alla denuncia
dei più recenti - e inquietanti - dati sull'analfabetismo di ritorno degli
studenti universitari, sulla mancata competenza di scrittura di ampie fasce professionali,
sui compiti disattesi della formazione, sul ritardo dell'aggiornamento della scuola
e dell'istruzione superiore intorno al tema della scrittura si sviluppano le proposte
di Dario Corno (Università del Piemonte Orientale) e Luisa Carrada (Finsiel).
L'uno insiste sulla necessità di sviluppare corsi di formazione di scrittura
tecnico-professionale, in cui l'obiettivo sia insegnare anche a studenti di materie
non umanistiche a scrivere testi referenziali il più possibile chiari,
rigorosi, convincenti e supplire alle riscontrate e documentate deficienze nella
capacità di strutturazione delle informazioni nella pagina e nell'uso della
segnaletica testuale. L'altra (http://www.mestierediscrivere.com) si concentra
sul bisogno delle competenze di scrittura da parte delle aziende più attente
al fronte della comunicazione, notando come in questi settori l'email, le intranet,
e lo sviluppo di una comunicazione esterna, richiedano sempre più una formazione
di tutti i dipendenti nella direzione di una padronanza della scrittura. Emanuela
Piemontese (Università di Roma La Sapienza) ricorda la ventennale attività
del gruppo di Tullio De Mauro, un monitoraggio attento delle capacità di
scrittura e comunicazione nel mondo della scuola e del lavoro, e l'attivazione
di corsi per insegnanti delle scuole elementari e medie, laboratori con alcuni
settori del sindacato Cgil, la collaborazione con alcuni settori della pubblica
amministrazione italiana, il progetto Dueparole, l'osservatorio Giscel, i corsi
di scrittura controllata per gli studenti de La Sapienza. Accanto alle competenze
di scrittura, i nuovi media impongono la conoscenza dei meccanismi di digitalizzazione,
della pluralità di strati profondi e non trasparenti dei linguaggi software.
Giulio Lughi (Università degli studi di Torino) ricorda come, sotteso al
funzionamento dei computer, scorra un tempo ciclico dell'algoritmo di programmazione
e come anche attraverso i linguaggi software si esprima una conoscenza e un tempo.
I vari livelli di stratificazione dei programmi scrivono (i linguaggi xml/html
nominano gerarchicamente lessicalizzando), così come scrivono le telecamere,
i circuiti chiusi, le carte di credito etc. Questo tipo di scrittura è
una forma a un tempo di controllo e di biografia: movimenti, gesti, spostamenti
vengono continuamente registrati, ogni singolo individuo vanta la sua presenza
nei database del Panopticon in cui si ritrova a vivere. La narrazione che le macchine
fanno e che gli uomini utilizzano spesso senza coscienza, si fondano su informazioni
frammentarie eppure espressive. L'ignoranza e l'indifferenza degli umanisti in
questo campo è un grave errore di valutazione e una rinuncia a indagare
e interpretare la relazione semantica input/output. I computer ci mappano: è
il nostro movimento nello spazio/tempo che scrive il discorso, facendo parole
con le cose. Impedire che il pc nasconda sempre di più i suoi meccanismi
significa diffondere una conoscenza tecnica del suo funzionamento anche in ambienti
diversi da quello tecnico-informatico. La
nostra epoca impone dunque un ripensamento e la necessaria coesistenza delle due
faglie confliggenti: ciò significa lavorare per una maggiore diffusione
delle competenze della scrittura, quando nel frattempo è in atto una ristrutturazione
della comunicazione attraverso altre forme in cui anche la scrittura sembra perdere
il suo ruolo privilegiato. Affrontare il presente in funzione di una prospettiva
etica di apertura al futuro impone una preparazione e un affinamento degli strumenti
e una pluralità di prospettive di indagine. Solo alla metà degli
anni Ottanta le Lezioni americane chiudono con una domanda, un invito e in fondo
una speranza: [...] chi
siamo noi, chi è ciascuno di noi se non una combinatoria d'esperienze,
di letture, d'informazioni, di letture, di immaginazioni? Ogni vita è un'enciclopedia,
una biblioteca, un campionario di stili, dove tutto può essere continuamente
rimescolato e riordinato in tutti i modi possibili. Ma forse la risposta che mi
sta più a cuore dare è un'altra: magari fosse possibile un'opera
concepita al di fuori del self, un'opera che ci permettesse d'uscire dalla nostra
prospettiva limitata d'un io individuale, non solo per entrare in altri io simili
al nostro, ma per far parlare ciò che non ha parola, l'uccello che si posa
sulla grondaia, l'albero in primavera e l'albero in autunno, la pietra, il cemento,
la plastica... (Italo Calvino, Lezioni Americane, Garzanti, Milano 1988, p.
120) La speranza
che gli uomini non rinuncino ad interrogarsi, esplorare, capire, senza paura di
dar voce al diverso, al nuovo, l'estraneo. |