Fino a questo punto del "percorso"
si è tentato di trovare una "lente" attraverso
la quale leggere ciò che Sartre, in Huis Clos,
e Camus, in Caligula, hanno cercato di rappresentare
(A.Pigliaru,
"Il Teatro dell'Assurdo. Huis Clos di J. P.
Sartre ", XÁOS.
Giornale di confine, n.1 2002, URL: http://www.giornalediconfine.net/n_precedente/art_8.htm;
Id., "Il Teatro dell'Assurdo: Caligula
di Albert Camus", XÁOS. Giornale di confine,
n.2 luglio-ottobre 2002, URL: http://www.giornalediconfine.net/n_2/art_12.htm).
E' stato difficile ma per certi versi
forse scontato: ci si è serviti delle loro speculazioni
filosofiche per chiarire e "decifrare" nel loro
codice teatrale ciò che risultava. Tuttavia si è notato
come il concetto di Assurdo si sia in qualche modo "trasformato"
nel suo contrario. Ora è il momento, anzi l'istante in cui
l'Assurdo rientri in se stesso, senza forzature filosofiche
di sorta. E l'Assurdo ritorna in sè accresciuto dal suo
"passaggio" per esplodere manifestando la sua
essenza: la Crudeltà. Non ci si servirà più di filtri attraverso
i quali evincere l'Assurdo nella rappresentazione teatrale,
perchè l'Assurdo in Artaud non è
più rappresentabile..."semplicemente" coincide
con la vita stessa. Inevitabilmente, parlando di Crudeltà,
si tratterà della "destinazione" del teatro stesso,
destinazione che il teatro porta nella stessa etimologia
della parola. il teatro per Artaud ha a che fare con l'Origine
ed è questo il motivo per il quale si sottrae alla struttura
della rappresentazione stessa. L'errore, o meglio, la colpa
del teatro Occidentale sta nell'aver "nascosto"
ciò che non-si-dà ad essere nascosto: la pura manifestazione
dell'Origine, l’êidolon che “accade e non può essere ripetuto.
E’ per questo che ciò che Artaud auspica non potrà darsi
nella forma teatrale occidentale ma bensì solo in quella
forma rituale tipica del teatro come evento festivo, del
teatro Balinese. La litania delle copie risponde al modello
occidentale fondato da Platone, per il quale «la rappresentazione
è interminabile e indefinita ripetizione di un originale
- ossia di un’origine, l’evento accaduto del testo
». [1]
Ecco perché il teatro per Artaud non ha ancora cominciato
ad esistere, perché ha fagocitato in sé la sua propria essenza:
l’irrappresentabile. Ciò che rimprovera Artaud al teatro
occidentale è di essere un “teatro della ripetizione”, quell’infinito
susseguirsi delle copie che evocano, attraverso la parola,
la malinconica nostalgia dell’origine.
[2]
Il teatro come rappresentazione è il teatro come théatron,
ciò che porta in sé la separazione dalla vita. [3]
E se è vero che la rappresentazione in occidente è
parte integrante di una civiltà che spoglia la vita del
suo senso, si capisce Artaud quando parla di un teatro puro,
cioè purificato, in cui sulla scena accade qualcosa di unico
e irripetibile, come «qualsiasi atto della
vita».
[4]
Tra
il 1925 e il 1927 ne Il Pesa-nervi Artaud scrive
che «il vero dolore consiste nel sentire il proprio
pensiero spostarsi dentro di sè»; [5] ora, l’argomento
del pensare che coincide col soffrire è di notevole importanza
per il nostro discorso: dà l’idea dell’ineluttabile frantumazione
del pensiero nella parola articolata, quella «impossibilità di
pensare che è il pensiero»;
[6] è Maurice Blanchot, uno dei più lucidi conoscitori
di Artaud, che scrive a riguardo «egli ha come toccato […] il punto in cui
pensare è sempre e già un poter ancora pensare: non potere
(impouvoir) secondo la sua parola, che è come essenziale
al pensiero ma ne fa una carenza dolorosa, un venir meno
che si irradia nello stesso istante partendo da quel centro
e, consumando la sostanza fisica di quel che egli pensa,
si divide a tutti i livelli di impossibilità particolari».
[7] A questo proposito
illuminante è il testo di finzione (1924-25) pubblicato
da Artaud dal titolo Les dix-huit secondes dal quale
si evince la morte del pensiero nella parola, l’interruzione
e lo spezzarsi di un pensiero che viene meno nell’istante
della sua estrinsecazione.
[8] «Artaud ha voluto
impedire che la sua parola, lontano dal suo corpo, gli fosse
soffiata, soufflée»; [9] Jacques Derrida
che parla di parola soufflée fa riferimento ad una parola
per un verso sottratta e per un altro ispirata da un'altra
voce: si tratta comunque di espropriazione, di furto che
si confonde con la possibilità stessa del furto. La struttura
della sottrazione deve essere spazzata via da una scena
dove non possa trovare rifugio: la Crudeltà; se si accetta
che "le parole sono il cadavere
della parola psichica", si intenderà bene il significato
della "Parola che è prima delle parole" come un
ritorno all'origine: occorre ritrovare un linguaggio dove
la parola e la scrittura diventino gesti. "Non si può continuare a prostituire l'idea di teatro, perchè
il suo valore risisede esclusivamente in un rapporto magico
e atroce con la realtà e il pericolo". [10]
In questo modo Artaud intende il suo teatro della Crudeltà:"[...]ossia
come una "Crudeltà"- da cruor che in latino
è "il sangue che cola dalle ferite"[...]- che
comincia dalla sua propria rappresentazione, che non la
esorcizza in altro, credendo di allontanarla in immagine,
ma la fa esistere per la prima e unica volta". [11]
Il gesto è dunque crudus, e il teatro della Crudeltà è drâma
che precede la separazione fra chi guarda e chi viene visto.
[12] La
Crudeltà è da intendersi come necessità purificatrice vera
e sacra. [13] Il
luogo dove il linguaggio teatrale sfugge alla parola ma
soprattutto alla "rete" della Pantomima Europea
(che Artaud definisce pervertita) è il teatro di Bali. Nel
teatro in cui vige la regola dell'imitazione, come in quello
occidentale, le parole rappresentano la frattura tra la
vita e il teatro, tra lo spirito e l'uomo. Nel teatro Balinese
si assiste invece ad una poesia dello spazio, in cui agiscono
"geroglifici-attori" i quali, evocando gli oggetti,
fanno si che ogni gesto rappresenti un atteggiamento dello
spirito, antecedente la separazione guardante-guardato.
La materia manipolata dal regista-sacerdote non è un suo
prodotto, è qualcosa che appartiene all'Inumano di cui la
natura è pervasa. Questo tipo di teatro poggia dunque sulla
"Parola prima delle parole” e l’originalità sta nell’impossibilità
della sua imitazione. L’attore è come un “geroglifico a
tre dimensioni”
[14]
di cui il gesto incarna una sacralità anteriore al linguaggio.
L’essenza del teatro Balinese si svela nell’accadere. La
rappresentazione teatrale coincide con la festa. [15] Ne La festa
e la macchina mitologica, Furio jesi parla di differenza
tra istanti festivi e istanti non festivi coincidente con
la differenza tra visibile e invisibile; l’istante festivo,
secondo Jesi, deve essere inteso come “l’istante di visibilità”
per cui la festa è “abissalmente non quotidiana” [16] ; la festa è
“quell’occasione di vedere, non di essere veduti”. Quel
“visibile” dell’istante festivo è il centro della festa,
“l’esibizione o il disvelarsi di un eídolon”
[17] . L’Oggi, prosegue
Jesi, è il tempo della festa che Artaud si proponeva di
attuare con il teatro della Crudeltà. Il teatro come drâma
dunque si ritrova solo in un ambito festivo in cui il visibile
(eídolon) esiste come qualcosa di irripetibile,
come quel teatro Balinese a cui Artaud stesso aveva assistito:
lo spazio tra uomini e dei in cui la ripetizione non sarà
mai e in cui l’Assurdo non avrà più rifugio.
[1] A. Tagliapietra, Il Velo di Alcesti.
La filosofia e il teatro della morte, Feltrinelli, Milano
1997; p. 37
[2] Cfr. Ibidem, cit. p. 38, 39.
[3] Il teatro «si scopre appartenere
intimamente a questa destinazione, che l’etimologia stessa
della parola teatro- il sostantivo greco théatron, derivato
dal verbo théaomai, che significa “guardo, osservo, contemplo,
sono spettatore”, e quindi dal sostantivo théa, ossia
“vista”, cioè il guardare, ma anche “spettacolo”, ovvero
“ciò che è guardato”- appalesa »; Ivi.
[4] A. Artaud, Il teatro e il suo doppio,
Einaudi, Torino 1964; p. 8.
[5] A. Artaud, Al paese dei Tarahumara,
Adelphi, Milano 1989; p. 41.
[6] M. Blanchot, Il libro a venire,
Einaudi, Torino 1969; p. 45.
[8] Cfr. F. Ruffini, I teatri di Artaud.
Crudeltà corpo-mente, Il Mulino, Bologna 1996; pp.18-20.
[9] J. Derrida, La scrittura e la differenza,
Einaudi, Torino 1971, p. 226.
[10] A. Artaud, Il teatro e il suo
doppio, cit. p. 204.
[11] A. Tagliapietra, op. cit. p. 40.
[12] «Dal greco drâma deriva, come
è noto, una consistente famiglia di parole che afferiscono
alla pratica teatrale, quali “dramma”, “drammatico”, “drammaturgico”,
“drammaturgia” ecc. ma qual è il contesto preteatrale
della parola drâma? Drâma, per il greco, significa innanzitutto
“azione”, “fatto” e quindi, traslatamente “affare” e “faccenda”,
vuoi anche lavoro, nel senso in cui tuttavia lo concepiva
un uomo nell’antichità. [Drâma] costituisce una condizione
esistenziale (…) dove il fine dell’azione è l’azione stessa,
non il prodotto»; Cfr. Ibidem, cit. p. 41.
[13] Cfr. A. Artaud, Storia vissuta
di Artaud-Momo, Edizioni L’Obliquo, Brescia 1995, p. 7.
[14] A. Artaud, Il teatro e il suo
doppio, cit. p. 177. Sul teatro Balinese e Artaud si veda
tra gli altri: AA.VV. Il Dramma, 5, Maggio 1979. Il teatro
della crudeltà e il confronto con Bali, a cura di C. Nissirio.
[15] Sul tema della festa rimandiamo
a qualche importante saggio: K. Kerényi, La religione
antica nelle sue linee fondamentali, Astrolabio, Roma
1952; M. Untersteiner, Le origini della tragedia e del
tragico, Bocca, Torino; M. Castri, Per un teatro politico.
Piscator, Brecht, Artaud, Einaudi, Torino 1973.
[16] F. Jesi, La festa e la macchina
mitologica, in La festa, Rosenberg&Sellier, Torino
1977; p. 180
[17] Ibidem; p. 183.
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- J. P. Sartre, L'essere e il nulla, Il saggiatore, Milano,
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Gallimard, 1993
- W. Krysinski, Sartre e la metamorfosi del 'cerchio pirandelliano'
ne Il paradigma inquieto, Edizioni Scientifiche Italiane,
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- J.P.Sartre, Le mosche. Porta chiusa, Bompiani, Milano,
1995
- A. Ceroni, Alterità in Sartre, Marzorati, Milano
- G. Farina, L'alterità: lo sguardo nel pensiero
di Sartre, Bulzoni, Roma, 1998.
- S. Moravia, Introduzione a Sartre, Laterza, Roma-Bari,
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- F. Fergnani, La cosa umana. Esistenza e dialettica nella
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- A.Camus, Il Mito di Sisifo, Bompiani, Milano 1996
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pref. di J. Grenier, a cura di R. Quillot, Gallimard,
Paris.
- S. Zoppi, Invito alla lettura di Camus, Mursia, Milano
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senso morale, ed. Filema
- Apuleio, Le Metamorfosi o L'asino d'oro, Zanichelli,
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- R. Siena, Nietzsche, Camus e il problema del superamento
del nichilismo, sta in "Sapienza", Vol. XXVIII,
1975
- Svetonio, Vita di Caligola, a cura di G. Guastalla,
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- M. A. Aimo, Assurdo e rivolta nel teatro di Albert Camus,
sta in "Memorie del seminario di Storia della filosofia
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di Sassari, 1981.
- M. Seita, le fonti antiche del Caligula di Camus, sta
in "Il Castello di Elsinore", anno XI, 31, 1998
- A.Tagliapietra, La metafora dello specchio. Lineamenti
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il teatro della morte, Feltrinelli, Milano 1997
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1964
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- A.Artaud, Al paese dei Tarahumara, Adelphi, Milano 1989
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- J. Derrida, La scrittura e la differenza, Einaudi, Torino
1971
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fondamentali, Astrolabio, Roma 1952;
- M. Untersteiner, Le origini della tragedia e del tragico,
Bocca, Torino;
- M. Castri, Per un teatro politico. Piscator, Brecht,
Artaud, Einaudi, Torino 1973
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Rosenberg&Sellier, Torino 1977
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