Il
mondo reificato appare (
) definitivamente come lunico
mondo possibile, lunico mondo concettuale afferrabile
e comprensibile che sia dato a noi uomini
[G. Lukács]
Tutta la vita delle società moderne
in cui predominano le condizioni attuali di produzione si
presenta come unimmensa accumulazione di merci
[Marx]
Tutta la vita delle società nelle
quali predominano le condizioni moderne di produzione si
presenta come unimmensa accumulazione di spettacoli.
Tutto ciò che era direttamente vissuto si è
allontanato in una rappresentazione
[Debord]
Premessa
Nella noiosa e
malinconica rappresentazione e duplicazione della realtà,
il soggetto detiene un posto di assoluto rilievo: è
infatti, a un tempo, vittima e carnefice del suo stesso
destino. Colui che subisce (qualcosa o qualcuno)
è comunemente detto vittima: ruolo di subalternità
e subordinazione nei confronti di chi esercita un potere
sullaltro, per esempio. Tuttavia sarà opportuno
rilevare come nella dialettica signoria-servitù (descritta
da Hegel e ripresa per la coda da Marx) non esiste più
la possibilità di ribaltamento. In unepoca
come quella contemporanea, parricida e ingrata verso un
passato da dimenticare, non si distingue più laltro
che ci sta di fronte. Siamo in(te)grati allinterno
di una pièce della quale non siamo né spettatori
né attori. Appariamo semmai cose tra le cose; oggetti
di cui a tratti si intravede il volume, appiccicati in una
immensa tappezzeria di foto spedite a caso, senza mittente
né destinatario. Lelemento che accomuna le
immagini rappresentate nelle foto è la casualità
del momento immortalato: mancanza di profondità,
segmenti di vita che muoiono nel tratto di strada percorsa.
Limmensa tappezzeria è il fondo
in cui cammina il soggetto della società dello spettacolo.
Scenografia di carta e plastica dunque, veli di maya postmoderni
che, squarciati, non nascondono nulla. Pensiamo al gesto
quasi titanico di Truman, protagonista del film di Peter
Weir, che arrivato al fondo della sua vicenda
si scontra con lorizzonte e lo scopre finto. La vittima
è inconsapevole di essere tale; avverte di essere
marionetta ma non si sente strattonata da nessun burattinaio:
non cè nessuno che muove i fili. La vittima,
colei che rinuncia alla vita perché ne è dipendente,
non ha nessuna contro-parte alla quale resistere. Nella
società dello spettacolo lunico rovesciamento
(che presuppone dunque una relazione) è quello del
falso che diventa un momento del vero (Debord 1967, p.55).
Breve appunto
Ciò che
appare è ciò che è. Un fondo neutro
dove in dissolvenza appaiono, dal buio, immagini di oggetti
proiettati. Nella dimora sotterranea a forma di caverna
si alternano luci e ombre. Luomo, secondo il mito
platonico, è incatenato gambe e collo. Immobilizzato
non può in alcun modo voltarsi e ciò che viene
offerto alla sua vista è per lui la verità.
Ma se quelluomo venisse improvvisamente strattonato
e costretto a guardar la luce stessa come reagirebbe? I
suoi occhi sarebbero abbagliati perché non potrebbe
abituarsi alla luce così rapidamente;
non
fuggirebbe volgendosi agli oggetti di cui può sostenere
la vista?. Secondo Platone è attraverso labitudine
e lesperienza luomo incatenato riuscirà
a vedere il mondo superiore; riuscirà
insomma a capire che ciò di cui si cibava nella tenebra
della sua prima dimora altro non era che illusione. Questa
descrizione sommaria delle dense pagine platoniche ci serve
come quasi a voler dipingere unimmagine: luomo
legato gambe e collo sta di fronte allo schermo
delle sue possibilità. A lui decidere ciò
che fare. A lui decidere di delegare il compito
della sua risalita ad altri. Ma pensiamo per
un attimo ad un individuo che, pur conoscendo cosa gli riserva
lesterno della caverna, non se ne curi. Pensiamo ad
un individuo che sceglie di tenere le catene perché
solo di ciò che vede riflesso può sostenere
la vista. Ciò che appare continuerà a sembrargli
vero. La copia delloriginale sarà il fondo
verso cui si specchia, verso cui si riconosce.
Ciò che appare sarà senza spessore.
Ciò che è coincide con ciò che appare
e, proprio a causa di questa conciliazione, viene a prodursi
paradossalmente una frattura insanabile. Ciò che
appare è ciò che è. Nel mondo
realmente rovesciato, il vero è un momento del falso
(Debord 1967, p.55)
Digressione
Gli
uomini non possono vedere nulla intorno a sé che
non sia il loro proprio viso: tutto parla loro di loro stessi.
Anche il loro paesaggio ha unanima
[Karl Marx]
La separazione
è lalfa e lomega dello spettacolo. (
)
Lo spettacolo è la conservazione dellincoscienza
nel cambiamento pratico delle condizioni di esistenza. (
)
Ogni comunità e ogni senso critico si sono dissolti
nel corso di questo movimento, nel quale le forze che hanno
potuto crescere separandosi non si sono ancora ritrovate
[Debord]
Parigi 1960. Caroline
cammina decisa. Capelli molto corti. Controllata e pensierosa
sembra dirigersi in un luogo preciso. Voci fuori campo.
Così si apre lessenziale pellicola di Debord
dal titolo Critique de la séparation.
Lo
spettacolo cinematografico ha le sue regole, che permettono
di realizzare dei prodotti soddisfacenti. Tuttavia, la realtà
da cui bisogna partire è linsoddisfazione.
La funzione del cinema è presentare una falsa coerenza
isolata, drammatica o documentaria, come surrogato di una
comunicazione e unattività assenti. Per demistificare
il cinema documentario, bisogna dissolvere quello che si
chiama il suo soggetto
Una ricetta ben consolidata
stabilisce che, in un film, tutto ciò che non è
dettato per immagini debba essere ripetuto, altrimenti il
suo senso sfuggirà agli spettatori. E possibile.
Ma questa incomprensione è dovunque negli incontri
quotidiani... Dopo tutti i tempi morti e i momenti perduti,
restano questi paesaggi da cartolina illustrata attraversati
senza fine; questa distanza organizzata tra ciascuno e tutti.
Linfanzia? Ma è qui; non ne siamo mai usciti.
La nostra epoca accumula poteri, e si sogna razionale. Ma
nessuno riconosce come suoi dei simili poteri. (Debord
1961)
Limmagine-movimento
viene sostituita dallimmagine-documento: fotogrammi
come inquadrature e interpretazioni di unepoca, la
nostra, che sgretola e svuota di senso il referente ultimo
dellimago: la realtà. Se limmagine cinematografica
si dà come elemento-medio tra limmagine e ciò
che dovrebbe rappresentare, nellepoca contemporanea
tale riferirsi è un rinvio
di cui non si hanno origini certe se non nel magmatico dominio
delloscurità. Il cinema di Debord produce una
crepa nel comune senso di considerare il cinema; il suo
è un tentativo politico prima che artistico, una
tensione costante e ripetuta di portare alla luce la memoria
di una realtà che non soddisfa, una realtà
che tracima il cadavere della cultura e lo prepara per le
nostre tavole addobbate di ipocrisie. La mutazione dei tempi
storici non ha fatto altro che accogliere il messaggio debordiano
allinverso: alla secca litania dellimmagine-documento
detournata, pesante come una pietra nello stomaco dei benpensanti,
si è sostituita la sequela del consumo sfacciato
e selvaggio. Alla voce fuori-campo che si leva come un monito
durante la sequenza dei fotogrammi, è subentrata
una processione di signorine buonasera legittime
custodi del solo presente, che accolgono nei loro corposi
ma rassicuranti decolté la maternità della
storia e della memoria. La filosofia, in quanto potere
del pensiero separato, e pensiero del potere separato, non
ha mai potuto da se stessa superare la teologia. Lo spettacolo
è la ricostruzione materiale dellillusione
religiosa. (
)Lo spettacolo è la realizzazione
tecnica dei poteri umani in un al di là: la scissione
compiuta allinterno delluomo (Debord 1967,
pp.58-59).
Della
deriva
Il
soggetto produce, come quasi un prolungamento di sé,
un ambiente o un percorso entro il quale egli si muove liberamente:
il calcolo dei tragitti abituali dettati dalle costrizioni
quotidiane vengono sostituite da uno sfaldamento dei confini
e dalla possibilità di cambiar strada.
Dietro gli esperimenti sulla deriva che Debord fa cè
un impianto teorico interessante ed attuale al contempo:
la deriva infatti presuppone la nascita di un nuovo Urbanismo
entro cui il soggetto, muovendosi nello spazio circostante,
tesse la tela delle sue possibilità; dietro alla
teoria della deriva, o forse come suo presupposto, sta la
liberazione del soggetto, il disancorarsi dalla propria
costrizione per costruire, quasi paradossalmente, ciò
che potrebbe appartenergli: se stesso e laltro da
sé. Ciò che percepisce il soggetto è
lespropriazione di un mondo auto-sussistente, un organismo
farraginoso e intestinale che lo vede (o meglio lo osserva)
gettato in una situazione già pre-confezionata in
cui potrà, se vuole, solo comparire a intermittenza.
Se è vero (come scrive Althusser) che esiste una
filosofia del senso comune ed una Filosofia tout court per
la quale il mondo può e deve essere trasformato,
Debord propone di far diventare il nostro orticello ricco
di idee fuori stagione un terreno piano e fecondo di infinite
possibilità scaldato dalla fioca luce della ragione.
Lorticello delle idee della filosofia del senso comune
è in fondo il nostro piccolo e rassicurante recinto,
un luogo sicuro in cui si nutre lillusione di poter
dire cose di una certa incidenza. Come i sogni anche le
illusioni si pagano col prezzo del mattino, e lorticello
diviene presto uno scompartimento da cui si
crede di poter guardare fuori: risulta essere effettivamente
il luogo in cui sono state calcolate perfettamente tutte
le possibili direzioni. Le distanze tra linterno e
lesterno sono così filtrate da un trama fitta
di relazioni che poco spazio lasciano alla libertà
di ognuno. Avere il coraggio del proprio intelletto e del
proprio pensiero è lo scardinamento del recinto,
è la presa di coscienza della nostra precarietà
e della trasversalità dello spazio del
soggetto. Lapertura dello spazio al soggetto è
dunque la possibilità di uscita dal labirinto delle
abitudini, la fuoruscita dallincubo del territorio
programmato a cui Debord dedicherà il settimo
capitolo de La società dello spettacolo. La deriva
è per i situazionisti un esperimento, un rendez-vous
possible di cui il soggetto è protagonista assoluto.
Lappuntamento possibile si colora, più di altri
esperimenti sulla deriva, di cosiddetti comportamenti spaesanti.
La parte dellesplorazione appare minima
nellappuntamento
possibile (Debord, 1956, p. 117). Nel randez-vous
possible larga parte ha la situazione emotiva del soggetto
spaesante visto che lazione e la conseguente
re-azione da parte di terzi è assolutamente imprevedibile;
pare dunque una ricognizione del campo empirico e delle
interferenze da parte di altri appuntamenti di attese senza
scopo preciso. In questo apparente caos di temporalità
che si incontrano sta lessenza dellesperimento
(che risulta paradossale visto che di esso loggetto
è qualcosa di non ripetibile cioè lesperienza):
riscoprire la propria libertà spaziale. In linea
di principio, il progetto situazionista riguardante la teoria
della deriva è denso di significato: la libera costruzione
della vita quotidiana e un parziale contributo alla produzione
teorica e pratica della contestazione alla modernizzazione
. Scrive Debord nel 1963: Pur con occasionali differenze
nei suoi mascheramenti ideologici e giuridici, è
sempre la stessa società contraddistinta dallalienazione,
dal controllo totalitario e dal passivo consumo spettacolare
che prevale ovunque. Non si può capire la
coerenza di questa società senza una critica radicale
che si ispiri ad un progetto di opposizione di una creatività
liberata che è il progetto di sovranità di
tutti gli uomini sulla loro propria storia e a tutti i livelli
(Debord 1963, p. 3).
Dello
spettacolo
Una confortevole,
levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale
nella civiltà industriale avanzata, segno di progresso
tecnico. In verità che cosa potrebbe essere più
razionale della soppressione dellindividualità
nel coso della meccanizzazione di attività socialmente
necesarie ma faticose.
[Marcuse]
Lo spettacolo
è lerede di tutta la debolezza del progetto
filosofico occidentale, che fu pure una comprensione dellattività,
dominata dalle categorie del vedere; così come si
fonda sullincessante spiegamento della razionalità
tecnica precisa che è uscita da questo pensiero.
Esso non realizza la filosofia, filosofizza la realtà.
(Debord 1967, p.58) Lalienazione dello spettatore
a beneficio delloggetto contemplato
si esprime
così: più egli contempla, meno vive; più
accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno,
meno comprende la sua propria esistenza e il suo proprio
desiderio. Lesteriorità dello spettacolo in
rapporto alluomo agente si manifesta in ciò,
che i suoi gesti non sono più suoi, ma di un altro
che glieli rappresenta. E la ragione per cui lo spettatore
non si sente a casa propria da nessuna parte, perché
lo spettacolo è dappertutto (Debord 1967, p.63)
Ciò che lo spettacolo mostra è il mondo della
merce. Ciò che la merce produce e di cui si nutre
è la categoria del quantitativo sottomessa al qualitativo.
La trasfigurazione del lavoro umano in lavoro-merce risulta
uno degli aspetti e delle conseguenze dellindipendenza
della merce che esercita il suo dominio incondizionato sulleconomia.
Lo spettacolo è il palesarsi della dittatura della
merce che non agisce in modo occulto ma occupa
totalmente la vita sociale. Ecco che alla distinzione tra
valore duso e valore di scambio si sostituisce lidentificazione,
pressoché completa, dei due valori della merce fino
al punto in cui il valore duso diventa egemone. Tutto
ciò determina una forma perversa di privazione. Il
consumatore reale diviene consumatore di illusioni. La merce
è questa illusione effettivamente reale, e lo spettacolo
la sua manifestazione generale (Debord 1967, p.72).
Nella società dello spettacolo la merce è
creatrice del mondo e auto-sussistente. Nel mondo rovesciato
dello spettacolo la merce contempla se stessa: la sua pseudogiustificazione
sta nello pseudo-uso della vita. Il meccanismo pare contorto
e pur tuttavia talmente semplice da sembrare inquietante:
la rappresentazione spettacolare delluomo vivente
determina il movimento e lo sviluppo di banalizzazione;
è Debord a chiarire: la giustificazione di ogni merce
risiede nellabbondante produzione della totalità
degli oggetti di cui lo spettacolo è un catalogo
apologetico (Debord 1967, p.82). loggetto singolo
è investito, agli occhi del consumatore, di un carattere
religioso
quasi mistico. Tale stato comprende e parmane
nelloggetto come produttore di illusioni. In altre
parole, nonostante la singola merce venga consumata, la
forma-merce persiste verso la sua realizzazione assoluta.
Ogni merce logorata comporta linsorgenza di unulteriore
merce che legittimi lillimitato artificiale
(Cfr. Debord 1967 p.84). Il nostro è il tempo
delle cose, perché larma della sua vittoria
è stata appunto la produzione in serie degli oggetti,
secondo le leggi della merce (Debord 1967 p.135)
A proposito
La cultura
è il luogo della ricerca dellunità perduta.
In questa ricerca dellunità, la cultura come
sfera separata è costretta a negare se stessa
(Debord 1967 p.161). I motivi sono da ricercare nella frattura
del linguaggio che non può più comunicare
nulla oltre limpossibilità di cambiamento.
Così anche larte cosiddetta di avanguardia
altro non è che la sua stessa scomparsa. La realizzazione
dellarte è al di là di se stessa (Cfr.
Debord 1967 p. 166). Ecco che, con arbitraria fondazione,
sorge la pseudo-cultura spettacolare; la pseudo-cultura
che cerca di rirpistinare ununità senza comunità.
Allora la cultura nelle sue manifestazioni e parcellizzazioni
diviene anchessa merce. Merce al servizio del pensiero
spettacolare. Il severo avvertimento debordiano esorta allattenzione
su quanti abbiano cercato di criticare lo spettacolo. Si
rischia di cadere nella superficialità di attacchi
senza spessore che non tengono conto della profondità
di una società delle immagini. Le radici di tale
trasformazione infatti sono da indagare nelle
basi materiali dello spettacolo stesso. Tanto si è
discusso sul testo principale di Debord e tanto si è
abusato. Stralci e brevi periodi possono essere (e sono
state) oggetto di becere strumentalizzazioni politiche che
poco hanno a che fare con il détournament. Ecco che
si commette lerrore di inciampare nel linguaggio sterile
dello spettacolare pur cercando di contrastarlo. Per
distruggere effettivamente la società dello spettacolo,
occorrono degli uomini che mettano in azione una forza pratica.
Lagire, che tanto spaventa certi filosofi, tutti intenti
a fabbricare i loro siparietti personali, significa
mettersi in gioco e considerare il potere del pensiero come
ciò che può trasformare la realtà.
La debolezza del pensiero filosofico di cui parla Debord,
deve portare ad una rinnovata presa di posizione di fronte
a quanto sta accadendo. La coscienza spettatrice,
prigioniera di un universo appiattito, delimitato dallo
schermo dello spettacolo, dietro il quale è stata
deportata la sua vita, non conosce più se non i suoi
interlocutori fittizi che la intrattengono unilateralmente
sulla loro merce e sulla politica della loro merce
(Debord 1967, pp. 181-182). E chiaro come lo spettacolo
si serva delle coscienze spettatrici e fin qui ci possiamo
ritenere in qualche modo solo ingannati. Ma
cè dellaltro: non solo si stabilisce
un dialogo fasullo tra il soggetto spettatore e lillusorio
interlocutore ma si innesca un meccanismo di frustrazione,
a causa delle pseudo-risposte, che determina il bisogno
di emulazione. Il sentimento di supplizio quasi fisico che
il consumatore metabolizza come bisogno di rappresentazione
sta alla base della nevrosi spettacolare (Cfr. Debord 1967,
p. 182). La scelta individuale era forse possibile nellottica
debordiana del 67; risulta impraticabile secondo la
più recente analisi che Debord fa nei Commentari
sulla società dello spettacolo del 1988. Secondo
Debord infatti lesito dello spettacolo è il
totale mescolamento dellimmagine alla realtà.
Non esiste opposizione e capacità critica perché
non esiste la condizione della distinzione. Il governo spettacolare
risulta occulto nellaccentramento del
suo potere; le due modalità di diffusione e concentrazione
si risolvono e confluiscono nel cosiddetto spettacolare
integrato. Se prima il vero era divenuto un momento
del falso, ora il vero è indimostrabile.
La conseguenza dellintegrato è esattamente
la mancanza di discussione nellappiattimento delleterno
presente (Cfr. Debord 1988, pp.195-199). Allora al bombardamento
gratuito e unilaterale da parte della merce-vedette, si
aggiunge e si fa strada un altro fenomeno conseguente allo
spossessamento: il voyerismo di spiare ciò
di cui ci sentiamo privati. Ciò che è nascosto
e dovrebbe forse restare privato assume un ruolo importante
nelleconomia spettacolare integrata: guardare come
gli altri vivono e si relazionano fra loro ci fa dimenticare
quanto poco ci occupiamo della nostra quotidianità.
E come guardare attraverso il buco di una serratura
o scoperchiare per un attimo il soffitto delle stanze altrui
restando passivi testimoni e fare finta di calarsi nellaltro,
derubandolo di un po di intimità. Lo spettacolare
anche detto mediale ha prodotto secondo Debord
una fitta rete di rassicurazioni per ognuno dei consumatori:
dallesperto-mediale (colui che ha sempre la risposta
adatta [quindi falsa]) a colui che dovrebbe informare o
che ritiene di poter testimoniare qualcosa. Tutto falsato
dunque comprese le nostre percezioni. Tutto equivalente
sotto il comune denominatore dello spettacolo integrato.
Ecco che ciò che appare esiste. Esiste in quanto
appare. Questo vale sia per gli oggetti sia per le notizie
(per esempio): ciò di cui lo spettacolo può
smettere di parlare per tre giorni è uguale a ciò
che non esiste. Perché allora parla di qualcosaltro,
e quindi è quella la cosa che, a partire da quel
momento, in definitiva esiste (Debord 1988, p.201).
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BIBLIOGRAFIA
Guy-Ernest
Debord
1956 Theorié de la dérive, in Les Livres neus,
n. 9, novembre 1956, Bruxelles ; ed it. Teoria della deriva
in Potlatch, Bollettino dellinternazionale lettrista
1954-57, Nautilus, Torino 1999.
1961 Critique de la séparation, Regia
e sceneggiatura: Guy Debord. Montaggio: Chantal Delattre.
Interprete : Caroline Rittener. 1961, b/n, 35 mm, 19.
1963 Les situationnistes et les nouvelles
formes daction dans la politique et dans lart,
in Destruktion af RSG-6 : En Kollectiv manifestation ok
Situationistik Internationale, Galeria EXI, Odense (Danimarca)
1963 ; ed. it., I situazionisti e le nuove forme dazione
nella politica e nellarte,( trad. a cura di C. Maraghini
Garrone) Nautilus, Torino 1990. Recentemente in trad.it.
a cura di E. Ghezzi, R. Turigliatto, I situazionisti e le
nuove forme dazione nella politica o nellarte,
in Guy Debord (contro) il cinema, Il Castoro-Biennale di
Venezia, Milano 2001.
1967 La Société du Spectacle,Buchet-Chastel,
Parigi 1967 ; ed. it. , La Società dello Spettacolo,
Baldini e Castoldi, Milano 1997, (prefazione C. Freccero
e D. Strumia).
1988 Commentaires sur La Société
du Spectacle, Gerard Lebovici, Parigi 1989; ed. it., Commentari
sulla Società dello Spettacolo, Baldini e Castoldi,
Milano 1997, pp. 185-248 (nota biografica P. Corrias).
SITOGRAFIA
- M. Priarolo, Filosofia e arte. Ritorno
a Debord,
URL: www.exibart.com/notizia.asp?IDNotizia=9394&IDCategoria=1
- www.larevuedesressources.org
- www.nothingness.org
- www.bopsecrets.org
- www.epdlp.com/debord.html
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