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GIOCHI E PAROLE

 

Giochi e parole, "XÁOS. Giornale di confine", Anno II, N.3 Novembre-Febbraio 2003/2004, URL: http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_3/13.htm
Hanno scritto:
- Christian Soddu, Sognando in technicolor
- Sonia Zampini, Labirinto

 

Sognando in technicolor

di Christian Soddu

Il fatto è che puoi starci attento finché vuoi, puoi sforzarti di non fare il minimo rumore, ma questa fottuta porta sembra viva, è così, pare che respiri, che ti senta arrivare, e dopo che hai armeggiato llleeeentamente con quel mazzo di chiavi, dopo tutto quell'inevitabile clicchettìo, scatti e controscatti per aprire, la spingi appena ed ecco che HEEEEEEEEEEEE… ti rimprovera così, gemendo nel cuore della notte, finché non entri e la richiudi, piano, altri scatti e controscatti, e il ruvido scivolare freddo della catenella. E sì che abiti in un decentissimo appartamento di un decente condominio, di quelli con l'amministratore e tutto il resto, mica in una vecchia bicocca di campagna dove le porte possono stridere quanto pare a loro, tanto la casa è grande e figurarsi se qualcuno le sente nella zona notte, cento metri quadri più in là, o più su, dove tutti dormono a quest'ora. Insomma, questo è proprio un condominio con tutti i crismi. Non manca il giardino, un rettangolo verde su cui s'accaniscono le sventagliate intermittenti dell'annaffiatore automatico, e quando varchi il portone senti quella rassicurante frescura lucida e silenziosa dell'androne, senti tacchi e voci riecheggiare e perdersi tra i pianerottoli sulla soglia di tante esistenze estranee, e l'ascensore che s'anima con un improvviso singulto e il bottone che diventa giallo. Senti tutte queste cose, ma non a quest'ora, quando tutti dormono. Non che sia così tardi, a dir la verità. È sabato sera, o domenica mattina, insomma sono le tre e sei già a casa, con le tasche gonfie e appesantite dai ritagli d'un sabato sera come tanti. Appena entrato le svuoti e uno sciame di nomi, frasi smozzicate e spiccioli di resto, cappotti al guardaroba e ore che tentano di star dietro a lancette troppo veloci volteggia per un attimo nell'ingresso e subito si dissolve tra le ombre pastello dell'appartamento addormentato, senza lasciare nulla, se non un vuoto che domani, senz'altro domani, riuscirai in qualche modo a colmare.

In realtà, le cose erano molto diverse prima. Cos'è cambiato? Qualcosa certamente, perché, a pensarci adesso, tutto era così bello. Eri bello tu, mentre ti ostinavi a lisciare all'indietro un ciuffo di capelli che ti ricadeva hollywoodianamente sulla fronte. Era bello il modo in cui tua madre ti fissava in sere come quella. Lo specchio dell'anta dell'armadio ne restituiva il volto sereno e un po' trasognato; lei che alle tue spalle ti cingeva in un abbraccio gentile, interferendo col rito della pettinatura e assestando timidi, sapienti strattoni al nodo della cravatta.
Ricordi come ti sembrava profonda e distante, allora, la voce di tuo padre.
…Tuo padre compare d'un tratto nella camera: "È un tre bottoni" dice, e tu non lo vedi ma lo senti che guarda il tre bottoni che hai indosso. "L'ultimo bottone va tenuto slacciato" e se ne va, invisibile com'è entrato esce, lasciando nella camera una carezza di bonaria nostalgia che non ti arriva, non colma la distanza, che è rimasta, così che ora puoi guardarci dentro e scorgervi tante cose lontane e perdute e sprecate. Ma più d'ogni altra cosa vedi com'eri bello, di quella bellezza un po' irruenta ma aggraziata che sempre riluce da un diciannovenne in estatica attesa.
…Poi, il ricciuto ciuffo castano stava finalmente su. La cravatta sistemata, con un nodo piuttosto blando ad ammiccare una ricercata noncuranza. Ti piaceva così. Certo, Cary Grant non avrebbe mai annodato la cravatta a quel modo.
A te piace Cary Grant, è uno dei tuoi tanti assurdi idoli. Non puoi farci niente, ti piace quello stile così rassicurante - datato, direbbero in molti - e nessuno porta lo smoking come lui. L'epitome dell'eleganza è Cary Grant in smoking che se la spassa con Grace Kelly tra gli scintillanti saloni del Carlton, a Cannes… ed è meglio che i tuoi amici non lo sappiano.
Dopo pranzo avevi evidentemente rivisto Caccia al Ladro in cerca d'ispirazioni al sapor francese, di qualche battuta da attingere a quella sceneggiatura brillante nella speranza di poterla sfoggiare, opportunamente riadattata, durante la festa di quella sera, casomai fossi incappato per un inaudito colpo di fortuna in qualcuno di interessante; si, insomma… una col corpo da squillo, vestita da squillo e con corrispettive abitudini, ma dotata di parola, nonché sufficientemente intellettuale da apprezzare una citazione ma non tanto da sapere che si tratta di una citazione.
Come gracchiava quel citofono! Un graffio inatteso, quasi doloroso nel silenzio di casa, e tu sobbalzavi ogni volta che ti sorprendeva. In sere come quella il citofono chiamava e tu dovevi scendere. A domani, bacio, divertiti… STA' ATTENTO, ma tu già aprivi la porta e affrontavi il freddo del pianerottolo, fendendo l'aria immobile con un moto d'impazienza. Prima che le porte dell'ascensore ti nascondessero dietro un riflesso metallico, ciocche riottose di capelli sfuggivano alla stretta del gel multivitaminico al pantenolo riequilibrante nutriente ai polimeri attivi di cheratina, fissaggio medio effetto ondulato con brio, quello che non aggredisce il cuoio capelluto e coccola i capelli, li accudisce e li comprende, sussurra loro che sono al sicuro e tutto andrà bene. Dopo tutto quel lavoro di toeletta, vanificato così, ti prendeva un accesso di panico e sfiducia. Pensavi allora che non avresti mai incontrato la tua Miss Stevens di Caccia al Ladro; che non ti sarebbe mai accaduto di scorgere laggiù, al culmine del ricevimento, vicino al palco dell'orchestra, un profilo preraffaellita e poi, arrancando educatamente tra la folla per raggiungerla, di scoprire pian piano una figura radiosa, fasciata in una delle creazioni premio Oscar di Edith Head… Presentarti a lei che si volta e ti guarda, e tu sicuro, fingendo di non precipitare innanzi a quella sorpresa di viso, a quella disposizione inconcepibilmente perfetta di lineamenti. Poi, se solo i capelli ti fossero rimasti a posto, avreste potuto iniziare una sofisticata conversazione a base di sofisticati doppi sensi, finché tra voi sarebbe stato tutto un frinire di battute spumeggianti, uno di quei dialoghi perfetti che scattano come meccanismi a orologeria, e come da copione le avresti detto: "Miss Stevens?…", e lei "si, Mr. Bearns?", e tu "sapete a cosa penso?", e lei "a cosa?", e tu "a voi!", mentre l'inquadratura stringe sul vostro gioco di sguardi e… fine della scena. Perfetta, buona la prima!
Ti pare adesso che l'ultimo sguardo dei tuoi genitori fermi sulla soglia fosse per l'elegante abito scuro. Era importante, piuttosto impegnativo, un costoso involucro a preservare la fragranza di quell'energia ballerina che ancora scrutava a destra e a sinistra, alla ricerca di nuovi spazi da conquistare.

Anni dopo, i tasti del pianoforte di Bill Evans picchiettano morbidi, come una pioggerella sottile che rimbalza dappertutto nella tua stanza, e ad un tratto, sul finire di Here's that rainy day il basso si dilegua, si spegne il crepitare soffuso della batteria, e il pianoforte resta solo e si fa rapido, la melodia s'arriccia su se stessa e si disfa in uno scroscio di note a sorpresa, e prima che nella camera torni la calma, come una coreografia evocata dall'assolo rivedi il lembo del cappotto che tracciava una virgola nell'aria luminosa e artificiale dell'ascensore, prima che le porte metalliche si chiudessero del tutto, lasciando fuori alcuni frammenti scintillanti di un sogno vago, al quale s'aggrappavano quelle serate lontane. Qualcosa era così risparmiato alla frenesia famelica della festa, dei ciaocomestai e dei brindisi che tintinnano freddi a scandire con gioia convenzionale il ritmo di voci garrule, e restava a galleggiare lì, sul pianerottolo, prigioniero del rimpianto sorridente di tua madre che, lentamente, s'appoggiava alla maniglia e richiudeva l'uscio. E sai che allora, dietro la porta chiusa, uno sfarfallìo d'ingialliti fotogrammi del passato doveva avvolgerla per un attimo, mentre si voltava e raggiungeva tuo padre in soggiorno.
Erano tutti laureati o laureandi, nessuno che avesse la vostra età. Alcuni, i veri invitati, erano lì per festeggiare la laurea in medicina del cugino di Nuccio. Molti erano lì per bere e per conoscere (possibilmente in senso biblico) gente nuova. Tutti festeggiavano perché si era ad una festa, per il fatto di essere laureandi o laureati, perché era notte e la settimana stava finendo. Tu e i tuoi amici, al primo anno di università, festeggiavate il semplice fatto di trovarvi lì, senza conoscere quasi nessuno, decisi ad inserirvi in un circolo nuovo ed esclusivo, quello degli over ventiquattro, con ragazze che, ne eravate certi, sarebbero state colte da un irresistibile impulso protettivo, materno, con l'ineluttabile corollario di sviluppi erotici, al solo vedervi aggirare teneramente isolati, freschi e un po' spaesati tra la folla sconosciuta.
L'errore, il primo dei tanti che avreste commesso nel corso della serata, fu quello di arrivare troppo presto.
…"Ma non c'è nessuno!" si lamenta Pietro. "Sicuri che non abbiamo sbagliato locale?". A mezzanotte la discoteca è ancora vuota, e a gettare uno sguardo rapido e indifferente al vostro ingresso sono solo il buttafuori e cinque o sei sfigati che ciondolano tra la pista da ballo e il bancone del bar, incerti se sprecare subito la prima delle due consumazioni. Più avanti, vedi un gruppetto tutto incravattato nel quale individui il neo dottore.
"Ecco Marco. Signori… andiamo a rendere omaggio". Seguite Nuccio, che vi precede fiducioso. Innesti il sorriso automatico, ma non è sufficiente a infonderti sicurezza nella sala grande e così vuota. Non l'avevi mai vista così, mai prima delle due del mattino, quando le colonne rivestite di specchi e le pareti a mosaico dei due piani si sono già sfaldate in un filare indistinto di volti luccicanti, parole a mezz'aria e luci artificiali che vorticano tutt'intorno. A quell'ora, l'orchestra che sempre zufoleggia nei tuoi sogni intrisi di jazz e martini si è già arresa ai ritmi altrettanto inverosimili d'una cacofonia isterica domata a stento dal dj… ma adesso! Adesso è tutto così lindo e spazioso. Adesso è più facile immaginare di attraversare la scena in leggerezza… Congratulazioni!… Ciao bello, auguroni… vivere in leggerezza… Già, la specializzazione… Civediamodopo… ok?, con l'invulnerabilità in doppiopetto del William Holden di Sabrina, …un master, un master è sempre la cosa migliore, CIAAAOO… Quella soave adeguatezza, ecco cosa vorresti, mentre volteggi come un'ape annoiata tra i grappoli di gente convenuta qui, sulla scintillante superficie del salone di… casa Harlan?! Magari in occasione del ricevimento offerto dal papà avvocato o senatore per la sua bambina adorata, che stasera celebra il suo fidanzamento col giovane e brillante Wentworth, figlio di Carter Wentworth …I Wentworth & Wentworth di Boston, per intenderci… cinguettavano con ammirazione e invidia le damigelle della corte di lei non appena trapelò la notizia. O forse, che so, le elezioni sono vicine, e gli invitati hanno tutti nomi made in Philadelphia: c'è il deputato Kravis che parla con quella sua cugina, moglie del re del legname del Vermont, ed ecco il giudice Astor e il dottor Fleming, che agitano in aria i loro sigari panciuti e pontificano sulla nuova legge in materia sanitaria, o si palleggiano l'ultimo pettegolezzo che aleggiava ieri sul green del Country Club, e tutti quei Fairchild, che trascorrono il tempo ad escogitar pretesti per pronunciare il proprio nome, e hai idea che si sdilinquiscano ad arrotolarselo sulla lingua e stiracchiarne le vocali, spremendone sempre nuove, stillanti gocce di english breakfast tea. In questo ricevimento da sophisticated comedy - starring Audrey Hepburn - ci sei anche tu, e naturalmente, da buon figlio del New England, sei munito di biglietto da visita recante impresso un cognome WASP, ben protetto nell'autorevole abbraccio tra almeno due iniziali e uno JR. come strascico finale.
Sono così comodi e caldi gli stereotipi, quando decidi di indossarli.
…Nuccio è il più deluso ma fa finta di niente. Dovrà pazientare ancora per mezz'ora prima che la gente cominci ad arrivare e a riempire la pista finché, mimetizzato tra la ressa ondeggiante, troverà il coraggio di approcciare la solita dozzina di ragazze. Pietro ha la sua Sara, che è a casa con l'influenza, quindi potrebbe starsene tranquillo ma, ora che tutti si dimenano stretti, allunga ugualmente l'occhio, e non solo, alla volta dei glutei inguainati in lembi di stoffa nera, docili al richiamo dell'immancabile latino americano. Massi è utile come al solito: si esibisce immediatamente nel suo brevettato ballo-del-vogatore-isterico creando il vuoto attorno a sé… uno spazio, nel quale noialtri possiamo incunearci. Ma ora, gente, anzi ragazze, tornate a farvi sotto… non restate così lontani! Cristo, la smetti di contorcerti come un ossesso?! Massi la smette, e ora sembra quasi una persona normale. Speriamo non inizi a ridere.
…Sei al bar da circa mezz'ora. Durante questa mezz'ora hai praticamente dimenticato il motivo del tuo startene qui, spalla a spalla con questo spiritosissimo energumeno tutto umido e azzimato che, mentre si fa versare rivoli di Cubalibre in una lunga fila di bicchieri da distribuire all'orda di amici che scalpita più indietro, ringhiando e schiacciandoti contro il bordo del bancone, si sforza di strappare uno straccio di sorriso alla barista. La barista è un concentrato di pura, implacabile efficienza, uno di quegli esseri glacialmente tesi nel fare ciò che fanno, e nel farlo il più rapidamente possibile, i cui gesti, l'intera loro figura, assumono un'impersonalità vaga e spigolosa, che già hai avuto modo di osservare nei controllori dei tram e negli impiegati delle poste. Cosicché, quando ti strappa di mano il biglietto della consumazione lanciadoti uno sguardo carico di fretta e di ombretto fucsia, capisci che si sta rivolgendo finalmente a te, e sei colto di sorpresa: fino a un attimo prima eri assorto sulla tua camicia nuova, tutta bagnata sul davanti per esserti appoggiato al bancone umido e freddo e, quel che è peggio (e mi riesce difficile immaginare qualcosa di peggio di una Cerruti 1881 in misto seta infradiciata), non ricordi più quel che dovevi ordinare per gli altri.
"Un Martini Bianco con ghiaccio e limone!" gridi, ma sei coperto da Ricky Martin che è partito a razzo, con un attacco che farebbe ballare pure i sassi, e tutti iniziano a saltare impazziti e tu salti con loro, ne va della tua vita, e ad un tratto siete tutti in un unico, enorme shaker che vibra e sussulta a volume colossale… Evidentemente la barista sa leggere le labbra, o le spietate condizioni di lavoro hanno affinato in lei nuove, sublimi capacità sensoriali. Fatto sta che ti ha capito, la vedi che prende la bottiglia giusta dal ripiano e hai solo pochi secondi ancora per urlare le altre ordinazioni. Non sai che fare, hai paura che la barista dagli occhi fucsia si arrabbi sul serio. Già ti squadra con sospetto: ha capito che le farai perdere tempo. Sei tentato di prendere il tuo martini e andartene, lasciando all'asciutto quei tre, che chissà dove diavolo sono finiti…
"OOOH, rettifica generale, Cubalibre per tutti!". Guardi con gratitudine Nuccio che ti ha appena fatto sordo ad un orecchio. Come sia riuscito a farsi strada fino a raggiungerti non lo sai proprio, ma sai per esperienza di non possedere la sua misteriosa abilità nel fendere le folle festanti, aprirsi varchi e spostarsi spedito anche nella calca più frenetica e impenetrabile. A differenza di te, lui non impiega quarti d'ora di dolente urgenza per raggiungere la toilette, invariabilmente dall'altra parte del locale, e se tocca a lui fare la fila al bar, te lo rivedi spuntare davanti con la birra che hai chiesto in men che non si dica. Sospetti sia tutta questione di compatibilità tra elementi. Qui dove siamo, lui è come un pesce nell'acqua; di più, un ruscello subacqueo che scivola sinuoso e senza intoppi nel dedalo di correnti e flutti marini. E come lui tantissimi altri… tutti, hai il sospetto. Tranne te. Tu non bevi Cubalibre, né vodka alla pesca o Malibù, perché da quando hai visto Colazione da Tiffany bevi solo martini, preferibilmente bianco (anche se talvolta, sull'onda dell'ennesima visione de Il Padre della Sposa, con Spencer Tracy che alla festa di fidanzamento di Liz Taylor s'arrabatta a mescolare decine di martini a cui tutti preferiscono il bourbon, ti lanci in nuove, ardite esperienze, e vincendo la tua innata repulsione per le olive osi un Martini Dry, un Manhattan, o un Americano). Tu hai bisogno di fermarti di tanto in tanto per riprendere fiato e riemergere dalla miscela di corpi, nacchere e schitarrate elettriche che si dimena agli ordini di Ricky Martin. Solo una boccata d'aria, magari più frequentemente di quanto sia necessario agli altri, dopodiché puoi tornare sotto e ricominciare tranquillamente a divertirti. Perché ti diverti, eccome! Quasi sempre almeno. È solo che… ecco, hai trascorso il pomeriggio acciambellato sul divano a seguire come ipnotizzato le schermaglie tra Grace Kelly-Frances Stevens e Cary Grant-John Robie in Caccia al Ladro e, come al solito, è accaduta una cosa strana. Perché lo sai, lo sai bene che è tutto made in Hollywood, che quei centosette minuti di pellicola in technicolor sono come una brochure ingenua e plastificata, ma la consapevolezza non intacca l'illusione, la bellezza delle riprese aeree del paesaggio, punteggiato dalle chiazze pallide delle ville che paiono sul punto di rotolar giù dalla roccia a picco sul mare. Ma tutto dovrebbe svanire dopo che si estrae la videocassetta dal videoregistratore, giusto?!
E invece, nella tua testa, a portarti alla festa di stasera non è stata la Clio di Nuccio ma la Cadillac convertibile di Miss Stevens, splendida con gli interni color crema che la fanno somigliare ad una coppa di gelato mentre scivola lungo i tornanti della Moyen Corniche, sullo sfondo blu e rosa che abbraccia Montecarlo. Il martini non c'entra niente purtroppo: il bicchiere è ancora pieno. Dev'essere un romanticismo patologico imputabile a qualche pro-pro-pro-zia; una sorta di Jane Austen in cuffietta, divoratrice di tè e romanzi, vissuta chissà dove a cavallo tra Sette e Ottocento.
Pro zia in cuffietta? Tè e romanzi? Ma che vai a fantasticare?! …Non è colpa mia, sono malato, ve l'ho detto.
…"Che hai detto?" grida Pietro.
"Ha detto che ha i seni eburnei". Massi mi guarda strizzando gli occhi, gualcito sul divanetto come un soprabito dimenticato da qualcuno. "Hai detto così, no?!".
"O, almeno, eburneo è quel che del seno risulta visibile, e non è poco… Ma guardala!" dici, e la guardi, la guardate che si dondola lenta e sensuale poco più in là sulla pista, con gli occhi chiusi e i capelli che disegnano onde fulve sul suo viso, stagliandosi a intervalli frenetici in figure irreali e come sospese nelle raffiche di luce stroboscopica. Che sia lei? Chissà, potrebbe anche essere.
…"E che significa?" insiste Pietro.
"Che cavolo vuol dire eburnei?" fa Massi, che ha tutta l'aria di divertirsi nel suo ruolo d'interprete.
"Vuol dire d'avorio, color dell'avorio. Bianco insomma. Cioè… lo so che l'avorio non è proprio bianco, ma d'un bianco giallastro…".
Massi strizza ancor più gli occhi, nello sforzo di risorgere dalla postura etilica:
"E allora?".
"Allora niente. Eburneo si usa comunque per indicare qualcosa di bianco, di pallido, di puro".
"Questo è matto!". L'impressione di un'ostilità vaga ti arriva attraverso la confusa voce di Pietro, smerigliata dall'alcool e dal fumo di sigaretta… Che sia lei? Non riesci a fare a meno di fissarla…
…"Che cazzo! E perché non dici bianco piuttosto che edurneo?!".
Finisci d'un sorso ciò che resta del martini, e ti fai scivolare in bocca il cubetto di ghiaccio, che ti fa un male cane ai denti mentre lo mastichi pian piano. Cary Grant non l'avrebbe mai fatto. Ma Cary Grant non se ne starebbe nemmeno seduto su questo cubo di stoffa sfondato, d'un orribile arancione, a parlare di niente e ad assorbire le ondate di luce elettrica che pulsano in questa nebbia berciante…
"Edurmeooo!… Edurmio un accidenti!"… Questa nebbia che si gonfia nel frastuono. Adesso vai; adesso ti alzi e vai a ballare vicino a lei, Miss Stevens… "E dì bianco perdio! Bianco, non…"
"Stai zitto!" urli, e la gola ti duole. "Dico eburneo piuttosto che bianco, se mi va, perché esiste tutt'un vocabolario ricco e articolato, traboccante sinonimi e simpatici arcaismi, che sarebbe un peccato lasciare inutilizzato…"
"E tu lo conosci tutto, vero?!".
"No… ma che c'entra?! Se conosci una bella parola, perché limitarsi a leggerla soltanto, senza infilarla mai in una conversazione?".
"Non è questo il punto!". Una vampata di rosso accende il volto contratto di Pietro.
"Perché quando parli con noi te ne esci sempre con adurneo invece di bianco? Bianche, ha le tette bianche che le esplodono dalla scollatura, non i seni eburnei!".
Incredibile, l'ha azzeccata finalmente. "Se è per questo, ti dirò che oltre ad essere eburnei i suoi seni sono anche ubertosi".
"Cazzo…umbertosi!".
"No, quello era un calciatore".
"Era Albertosi, deficiente!", ti sibila addosso Massi, sadico.
"Vabbè, comunque… U-b-e-r-t-o-siiii, ossia fecondi, opulenti, floridi, generosi, caro il mio futuro commercialista".
"Ma parla come mangi!".
"STATE URLANDO!" urla Massi, "Diamoci una calmata eh?!".
"Parla come mangi?! Mio dio… ma sei un pozzo di saggezza popolare" e prima di continuare già ti odi, "Dove l'hai letta questa? Letta, ma che dico! L'avrai mutuata dalla tradizione orale dei tuoi remoti antenati… Tutti accoccolati attorno al focolare, la sera, a confabulare e istruirvi a vicenda, e a far la gioia di sociologi e intellettuali apologeti del bel tempo che fu e delle radici che affondano nella nuda terra genuina…".
"E tu?… Che non fai niente da mattina fino a sera se non leggere o guardare film, buttato sul divano…".
"Almeno io so leggere…".
"Ecco dov'eravate finiti! Che ci fate qui seduti?".
Non ci credi, non ci puoi credere… "Stavamo discutendo".
Non ci vuoi credere, perché non è giusto, ecco!… "Bravo Massimo! Così si fa ad una festa… comunque questa è Laura".
Ma stava ballando fino a un secondo fa, l'hai vista! Come ha fatto Nuccio a… così in fretta…
Laura - lo dichiara lei stessa con una certa solennità - è gemelli ascendente leone, studia giurisprudenza e va a lezione di danza funky due volte la settimana. Ma tutte queste rivelazioni, insieme a tanti altri particolari della sua vita privata, ti cadranno addosso soltanto nelle settimane successive, quando Laura sarà già entrata a far parte integrante del vostro gruppo con la qualifica di ragazza part time di Nuccio. Al momento, non sei in grado di assorbire alcuna informazione che vada al di là di un semplice nome composto da più di due sillabe. Non sai se imputare l'improvviso stordimento che ti si è franto addosso come un'onda alla romantica delusione o al martini. Ad ogni modo, dopo esserti presentato come George Peppard, ti alzi a fatica e ti allontani non sai dove… a ballare, si! Hanno messo su gli Articolo 31. Voglio una lurida!… oh oh… Datemi una luridaaa… ti muovi sugli scatti dell'hip hop, adeguatamente spavaldo come tutti gli altri, e sei tentato di bussare alla gabbia di vetro per chiedere al dj se ha My funny Valentine nella versione classica di Chet Baker, perché ti è venuta improvvisamente voglia di un lento, con tutto che tu i lenti non li sai ballare (non sai ballare niente a dir la verità, ma sei molto volenteroso…), ma solo la voce caramellosa di Chet Baker ti sembra intonata alla nostalgia che provi adesso, la nostalgia impossibile di un tempo che nemmeno conosci, che non hai vissuto. Ma come si fa?! "Sono un uomo da anni Cinquanta, io!… No, sei un uomo di anni Cinquanta"… Sorridi divertito mentre il solito, ormai rituale botta e risposta tra te e Nuccio ti balena in mente, guizzando tra i mucchi di pensieri sfilacciati.
Ogni tanto te lo chiedi. Come si fa ad amare un mondo tanto fuori dal presente? E non ti rispondi mai, perché credi sia utile per se stessi capire cosa ci piace, ma superfluo e forse stupido voler sapere a tutti i costi il perché. A te piacciono i film di Billy Wilder, anzi, l'intera epopea della commedia hollywoodiana, da Accadde una notte a Harry ti presento Sally. Ami le tinte pastello e quelle scenografie fatte di interni borghesi e ovattati, con gli angoli verdeggianti di basse piante ornamentali. Ti piace passeggiare nelle notti estive lungo le vie del tuo quartiere, costeggiando cancelletti e citofoni, e segreti angoli di prato che galleggiano come conigli attoniti nel pallido alone di quelle lampade a forma di globo, affogate tra i cespugli ben curati… e tante altre cose banali di cui a qualcuno, ho il sospetto, non fregherà granché. Quindi, in fondo, non c'è da stupirsi se uno così, persino a diciannove anni, persino all'interno di una discoteca, si perde dietro il sogno di un facilissimo mondo di arguzia, maliziosa intelligenza e allusioni a erotiche promesse irraggiungibili se non dopo i titoli di coda. E in questa dimensione in cui tutto va come dovrebbe andare, con gli intoppi che servono solo a far impennare ancor più gioiosamente la vicenda verso il lieto fine, il tuo Cary Grant va… tu vai, anche se naturalmente lei domani dovrà partire (per studiare a Parigi? Ma sì, come Sabrina!), e l'orchestra soffierà e busserà una April in Paris soffice soffice: per lei, che domani andrà via, incontro al tiepido abbraccio della primavera francese, finché il sospirato, castissimo bacio non si poserà sull'ultima inquadratura.

Anni dopo, adesso lo sai, non è cambiato molto. Stai per sposarti e fai un lavoro che non ha niente a che fare con ciò che hai studiato all'università. Stasera c'è una festa…
Non è cambiato molto perché, sebbene per poco tempo ancora, hai sempre la tua stanza, dove al momento c'è Frank Sinatra che dallo stereo canta I haven't time to be a millionaire. Ma Sinatra lo era, milionario; tu no, e hai accantonato soltanto di recente la certezza di diventarlo.
Stasera c'è una festa, comunque. Come al solito non hai molta voglia di andarci e, allo stesso tempo, non vedi l'ora di essere lì, vestito di tutto punto. Indosserai una camicia nuova e cercherai di non fumare. Starai con gente alla quale vuoi bene. Ma c'è ancora tempo, potrai iniziare a vestirti con comodo verso le nove, dopo una doccia e una cena veloce. Poi il citofono chiamerà col suo finto din don nasale, e salirete tutti a bordo della 147 di Nuccio, perché avete deciso che non vale la pena che ognuno prenda la sua macchina. E poi vi piace un sacco fare a botte e spintonarvi nel sedile posteriore, e tormentare chi di voi ha vinto la battaglia per sedersi davanti accanto al guidatore. Intanto, visto che è sabato pomeriggio e non devi lavorare, e visto che i tuoi sono fuori, puoi trascorrere un paio d'ore tranquillo sul divano. Hai finalmente trovato Caccia al Ladro in DVD, e non stai più nella pelle… perché hai l'impressione che insieme agli amici, alla tua Laura (sì… proprio lei!), insieme ai vividi e isolati frammenti di un sogno sui quali le tue giornate incespicano di continuo, Caccia al Ladro sia ciò che conta.

Caccia al Ladro - To Catch a Thief, USA 1955, colore, 107', di Alfred Hitchcock, con Cary Grant, Grace Kelly, Charles Vanel, Jessy Royce Landis, Brigitte Auber, sceneggiatura di John Michael Hayes, da un romanzo di David Dodge, Paramount Pictures Corp., All right reserved -

"Non pasticciarmi il vetro! Rimane il segno, quante volte te lo devo dire?!", ma la liscia superficie appannata è troppo invitante per dar retta alle proteste di Nuccio, e continui a scarabocchiare con l'indice. Lungo la strada Pietro, il solido e affidabile Pietro, ride e ride mentre Massi fischietta la musica de Il Padrino. Vola il nome d'una ragazza nuova all'interno dell'auto nuova - dev'essere Nuccio - e tutti guardate il filare di luci natalizie che continuano ad ammiccare sulla via, gettando secchiate di luce giallo-verde sulle facciate dei palazzi e sull'asfalto bagnato, sospese oltre il divagare stanco e nervoso di qualche rara auto diretta verso casa, mentre anche noi rientriamo. La festa è stata bella: per un po' resta con voi, in un ronzio che si gonfia nelle orecchie ovattate, negli occhi arrossati dal sonno e dal fumo.
Mezzo assopito sul sedile posteriore, stai ripensando alla festa, col gomito di Massi piantato nelle costole e la fronte che sobbalza lieve sul vetro freddo e appannato, mentre la macchina sibila ruvida sull'acciottolato del Centro. La pioggia scorre lungo il finestrino, catturando brevi bagliori gocciolanti che muoiono e rinascono fragili, fuori, nel languore della notte agghindata a festa. Alla fine gli occhi si chiudono sul finestrino umido, su quest'acquario buio di città.
Bella festa, davvero… A tratti, quando stanco di ballare ti fermavi e andavi al bar per bere qualcosa, o tra una parola e l'altra scambiata confusamente con qualcuno che affermava di conoscerti, potevi udire le sonnolente zampate del contrabbasso che carezzavano l'aria, i fiati incalzanti che sospingevano in alto l'animata bolla di sapone chiassosa e sgargiante, un pianoforte agile…
Arrivi a casa, con le tasche ricolme dei ritagli d'un sabato sera come tanti.
Non è cambiato molto. Meno male.
Christian Soddu


Labirinto

di Sonia Zampini

Era già verso sera.
La luce riversa illuminava l'imbrunire. D'inverno.
In inverno la luce sottende i pensieri, quel chiarore nebuloso sa parlarci dell'incerto, e da soli, lontani dalla reale contingenza delle cose, ciò che pensiamo sembra essere ciò che è.

Come dicevo era già verso sera, quando l'immagine riflessa di me..…, mi guardava da quel piccolo oggetto di voluttà femminile. Lo specchio sul tavolo, dove io stavo assistendo alla discesa della sera.

Voltandomi intorno era buio.
E' sera.
Quasi in segno di umana stanchezza, chiusi gli occhi a me, lo specchio chiuse me stessa alla mia vista.

Questo era l'ultimo ricordo.

La multiformità cangiante del reale si chiude a noi stessi, e noi apriamo i nostri occhi alla vista oscura delle cose.

Ho riscoperto la fatica psicologica della corsa. Eppure il mio respiro è immobile.
Ho nuotato in un mare profondo. Eppure le mie vesti sono asciutte.
Ho assaporato il brivido della discesa, il vento che gela la pelle, l'aria che smorza il respiro, l'audacia della corsa. Eppure sono ferma.


Ricordo pensieri stanchi di esser pensati, parole stanche di esser dette….
Ricordo parole il cui solo suono mi commuove, gesti in cui la delicatezza del tatto mi ha marchiato a vita….
Ricordo sorrisi inconsapevoli e risate rumorose, ricordo il rumore, lì dove più c'è n'era lì dove più si aveva la sensazione di esistere.

Ricordo l'odore della pelle rischiarata al sole. Il suo odore sui vestiti. Tutte le parole urlate con ira, e tutte quelle sottaciute con dolcezza…..
Ricordo le mie responsabilità, le mie divagazioni, la mia insofferenza, la mia voglia di scappare lontano,
e poi ricordo il dolore. Le immagini mi massacrano.
Il pianto mi ostruisce le vie d'uscita.
Non c'è molta differenza tra l'essere qui e non esserci. Ma poi so che presto cercherò di provare ancora emozione.
Lo spero.
L'emozione serve a controllare e a guidarci in questo labirinto, le cui uniche forme sono quelle del ricordo, dove la miglior linea tracciata è quella che si stacca da noi e ci porta sin nel cuore di ciò che ci circonda, lì dove è il marcio e il sereno, il profano e il sacro. Lì dove le parole dette e mai più ascoltate ci asciugano le lacrime e ci sospingono verso l'eterno.

Ho riaperto gli occhi.
Ho riaperto gli occhi a me stessa e alla mia immagine riflessa nello specchio. Così ho guardato la notte fuori la mia finestra e ho pensato che domani, già alle prime luci del sole, la città e tutto ciò che mi circonda avranno le forme di un nuovo labirinto. Ma io so, che non avrò paura. Perché questa notte ho viaggiato in me.
Consapevole. Riapro gli occhi al mondo.
Sonia Zampini