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Sebastiano Ghisu, Il soggetto del desiderio. La costruzione dell'inconscio secondo Jacques Lacan

 

Sebastiano Ghisu, Il soggetto del desiderio. La costruzione dell'inconscio secondo Jacques Lacan, in "XÁOS. Giornale di confine", Anno II, N.2 Luglio-Ottobre 2003, URL: http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_2/6.htm

 

La proibizione dell'incesto, scrive Lévi-Strauss nella sua opera Le strutture elementari della parentela, "costituisce... il passo fondamentale grazie al quale, per il quale, e soprattutto nel quale, si compie il passaggio dalla natura alla cultura. In un certo senso essa appartiene alla natura, giacché costituisce una condizione generale della cultura: di conseguenza non bisogna meravigliarsi che essa ritenga dalla natura il suo carattere formale, ossia l'universalità. Ma in un certo altro senso essa è già la cultura che agisce e impone la propria regola in seno a fenomeni che inizialmente non dipendono da lei" (Lévi-Strauss 1984, 67). La proibizione dell'incesto costituisce dunque il legame che unisce l'esistenza biologica dell'uomo con la sua esistenza sociale: prima che tale "unione" abbia luogo (ma, specifica Lévi-Strauss, "si tratta piuttosto di una trasformazione o di un passaggio") "la cultura non è ancora data; con il suo verificarsi, la natura cessa di esistere nell'uomo come regno sovrano. La proibizione dell'incesto è il processo attraverso il quale la natura supera se stessa: accende la scintilla sotto la cui azione si forma una struttura di tipo nuovo, e più complesso, che si sovrappone, integrandole, alle strutture più semplici della vita psichica, così come queste ultime si sovrappongono, integrandole, alle strutture più semplici della vita animale. Essa opera, e di per se stessa costituisce, l'avvento di un nuovo ordine" (ibid.).
La proibizione dell'incesto va dunque intesa come prescrizione, ordine. Infatti "considerata come una interdizione, la proibizione dell'incesto si limita ad affermare, in un settore essenziale per la sopravvivenza del gruppo, la preminenza del sociale sul naturale, del collettivo sull'individuale, dell'organizzazione sull'arbitrio. Ma già a questo punto dell'analisi la regola, in apparenza negativa, ha generato il suo converso: infatti ogni interdizione è, contemporaneamente e sotto un altro rapporto, una prescrizione" (ibid., 91). Ciò significa che il contenuto della proibizione non si esaurisce nel fatto stesso della proibizione (non si limita cioè alla proibizione): questa "viene stabilita soltanto per garantire e fondare, direttamente o indirettamente, immediatamente o mediatamente, uno scambio" (ibid., 99). Alla proibizione dell'incesto corrisponde dunque l'esogamia [1], ma questa è innanzittutto scambio: "in qualunque sua forma (...) è lo scambio, e sempre lo scambio, che risulta essere la base fondamentale e comune di tutte le modalità dell'istituto matrimoniale. Se queste modalità sono tutte assumibili sotto la generale denominazione di esogamia (l'endogamia infatti... non si oppone all'esogamia, ma la presuppone), ciò può farsi a condizione di riconoscere, dietro l'espressione superficialmente negativa della regola di esogamia, la finalità cui essa tende con la proibizione del matrimonio nei gradi proibiti, e che è quella di assicurare la circolazione totale e continua di quei beni per eccellenza che il gruppo possiede e che sono le sue mogli e le sue figlie" (ibid., 614).
A base della proibizione dell'incesto vi è dunque innanzittutto lo scambio (regolato) come prima condizione di esistenza della società. Ciò significa che "l'esogamia ha un valore assai più positivo che negativo, perchè afferma l'esistenza sociale altrui, e proibisce il matrimonio endogamico solo per introdurre e prescrivere il matrimonio con un gruppo diverso dalla famiglia biologica; e non certo perchè al matrimonio consanguineo si attribuisca una pericolosità biologica, ma perchè da un matrimonio esogamico risulta un beneficio sociale" (ibid., 616). Si può funque affermare senza esagerazione che l'esogamia "costituisce l'archetipo di tutte le altre manifestazioni a base di reciprocità, e fornisce la regola fondamentale ed immutabile che assicura l'esistenza del gruppo come gruppo" (ibid.).
La proibizione dell'incesto dunque "non è tanto una regola che vieta di sposare la madre, la sorella o la figlia, quanto invece una regola che obbliga a dare ad altri la madre, la sorella o la figlia" (ibid., 617). Di conseguenza non è lo stato di società che ha reso necessarie le regole della parentela: "sono esse stesse lo stato di società che rimaneggia le relazioni biologiche ed i sentimenti naturali, impone loro di inserirsi entro strutture che li implicano assieme ad altri, e li obbliga a superare i loro caratteri originari" (ibid., 628; corsivo mio).
Tuttavia le strutture della parentela, che rappresentano la forma realizzata della fondamentale prescrizione esogamica, della proibizione dell'incesto, non corrispondono affatto ad un sistema di obblighi o comandamenti dei quali si è consci e che implicano una possibilità di scelta. Rappresentano piuttosto, anche nella loro forma complessa, l'inconscia percezione di fondo della realtà da parte degli individui. Il divieto dell'incesto s'impone sotto forma di legge simbolica, cioè attraverso l'ordine simbolico rappresentato dalla lingua - ordine nel quale ogni unità percettiva è funzionalmente inserita come significante ed è percio determinabile solo in maniera differenziale [2]. Con la società - in quanto cultura, cioè superamento dello stato di natura - la percezione è dunque incondizionatamente e definitivamente mediata dalla lingua. In tal senso "ogni cultura può venir considerata come un insieme di sistemi simbolici, dove la lingua, le regole matrimoniali, i rapporti economici, l'arte, la scienza e la religione occupano il primo posto" (Lévi-Strauss 1950, XIX).
La simbolizzazione della realtà [3], che rende possibile lo scambio - la comunicazione - come atto sociale fondamentale rendendo così l'animale umano un essere sociale, è profondamente radicato nell'apparato psichico di ogni singolo individuo: essa costituisce l'apparato psichico. Tale strutturazione non è tuttavia, come vorrebbe il mito dell'origine, accaduto una volta per tutte, ma accade piuttosto sempre e di nuovo in ogni singolo bambino: ogni singolo bambino è assoggettato alla "lunga marcia forzata che trasforma delle larve di mammiferi in bambini umani, in soggetti" (Althusser 1977a, 19).
Attraverso la spiegazione lévi-straussiana della funzione universale della proibizione dell'incesto si è in grado di valutare, come scrive Pierre Bruno, "gli effetti rigeneranti" che l'antropologia strutturale ha esercitato "sulla comprensione del complesso di Edipo. Essa ha fornito la cauzione scientifica grazie alla quale doveva essere esorcizzato uno dei demoni ideologici della psicoanalisi: il biologismo. Se i sistemi di parentela sono sistemi simbolici il cui funzionamento è comandato da una struttura inconscia, è a questo livello di ordine simbolico che deve essere compresa la posizione (mise en place) del complesso di Edipo" (Bruno 1975, 153; 1973, 162), che è appunto ciò che Lacan ha cercato di fare.
Secondo Lacan l'istanza della legge, nella quale si fondono l'alleanza e la parentela, è ciò che ci permette di dire "perché i motivi dell'inconscio si limitano - punto su cui Freud si è dichiarato sin dall'inizio e su cui non ha mai deflettuto - al desiderio sessuale. Infatti è essenzialmente sul legame sessuale, e per il fatto di ordinarlo alla legge delle alleanze preferenziali e delle relazioni interdette, che poggia la prima combinatoria degli scambi di donne tra le schiatte nominali, per sviluppare in uno scambio di beni gratuiti e di parole maestre il commercio fondamentale e il discorso concreto che fanno da supporto alle società umane" (Lacan 1974, 424).
Tuttavia l'ingresso del bambino nell'ordine culturale - l'assimilazione dell'ordine simbolico che segue alla fase edipica - presuppone altre esperienze decisive di vita. Innanzittutto il sorgere dell'istanza immaginaria attraverso ciò che Lacan chiama fase dello specchio, ovvero la prima scoperta dell'interità del proprio corpo attraverso l'immagine speculare [4].
"La funzione dello stadio dello specchio - scrive Lacan - si presenta... secondo noi come un caso particolare della funzione dell'imago, che è quella di stabilire una relazione dell'organismo con la sua realtà, - o, come si dice, dell'Innenwelt con l'Umwelt [5].
"Ma nell'uomo questa relazione con la natura - prosegue Lacan - è alterata da una certa deiscenza dell'organismo nel suo seno, da una Discordia primordiale tradita dai segni di disagio e dall'incoordinazione motoria dei mesi neonatali" (Lacan 1974, 90).
Un primo superamento di questa impotenza da parte del bambino è determinata per l'appunto dall'immagine speculare esterna. Si viene così a formare una prima articolazione dell'io (moi) [6]. Ma questo io si forma nel momento in cui il bambino scopre la sua unità, fisicamente non ancora vissuta, al di fuori, in un altro (l'imago). Il bambino, dopo i primi tentennamenti, si rifiuta di vedere nell'immagine speculare un immagine rispecchiata e separata da lui. Egli si confonde con la sua immagine esteriore e assume l'imagine che gli sta di fronte come io e quasi come Io ideale. L'immagine, infatti, appare come un'unità, e questa unità speculare, scoperta ma non ancora vissuta, viene accolta in una sorta di "traffichio giubilatorio" (ibid., 88) come una conquista. Viene così a stabilirsi un rapporto con se stesso e con il mondo circostante che conduce il bambino ad un forte transitivismo, superato solo più tardi, nella fase edipica, attraverso l'assimilazione dell'ordine simbolico [7].
Si può dunque comprendere lo stadio dello specchio "come una identificazione nel pieno senso che l'analisi dà a questo termine: cioè come la trasformazione prodotta nel soggetto quando assume un'immagine" (ibid., 88). La forma che costituisce l'io diviene dunque "il ceppo delle identificazioni secondarie" (ibid.) e informa le successive fasi di vita: "ma l'importante è che questa forma situa l'istanza dell'io (moi), prima ancora della sua determinazione sociale, in una linea di finzione, per sempre irriducibile per il solo individuo, - o piuttosto, che raggiungerà solo asintoticamente il divenire del soggetto, quale che sia il successo delle sintesi dialettiche con cui deve risolvere in quanto io (je) la sua discordanza con la propria realtà" (ibid., 88s.).
Dal momento in cui il soggetto scopre un suo io - ciò che più tardi chiamerà il suo io (soggetto dell'enunciato) - attraverso l'altro, avrà sempre bisogno dell'altro per poter intendere l'io quando dice io. A partire dallo stadio dello specchio, se il soggetto dirà io (je), non dirà il suo proprio io (che in realtà non esiste), ma l'io che egli ha da essere e che egli è effettivamente: una "identità alienante", scrive Lacan (1974, 91). Il soggetto riconoscerà nell'altro il suo io, per cui disconoscerà l'altro in quanto tale. In questo senso nasce nello stadio dello specchio "il disconoscimento cronico di sé" (Rifflet-Lemaire 1970, 294) [8].
"Il fatto è che la forma totale del corpo grazie a cui il soggetto precorre in un miraggio la maturazione della propria potenza, gli è data soltanto come Gestalt, cioè in un'esteriorità in cui questa forma è certamente più costituente che costituita" (ibid., 89). Questa Gestalt - "la cui pregnanza va considerata come legata alla specie, benché ne sia ancora misconoscibile lo stile motorio" - simbolizza "la permanenza mentale dell'io (je) e al tempo stesso ne prefigura la destinazione alienante: ed è anche gravida delle corrispondenze che uniscono l'io (je) con la statua in cui l'uomo si proietta, con i fantasmi che lo dominano, ed infine con l'automa in cui tende a compiersi in un ambiguo rapporto il mondo di sua fabbricazione" (Lacan 1966, 95). Lo stadio dello specchio colloca insomma l'io (moi) una volta per tutte - ma innanzittutto formalmente - al di fuori dell'individuo e l'io (je) in una linea di finzione [9] (il je è insomma la specifica realizzazione dell'alterità del moi rispetto all'individuo, la varianza di un invarianza fondamentale: l'io come identificazione).
La possibiltà di un rapporto immediato - potremmo anche dire, anticipando la fase si assimilazione dell'ordine simbolico, ateorico - con il "proprio" io o con la realtà in generale (esteriore ed interiore) viene esclusa definitivamente: da qui sorge ciò che i lacaniani usavano chiamare l'opacità del reale [10]. Essa è inevitabile in quanto non poggia sulla specificità della formazione sociale, quanto sulle modalità necessarie attraverso le quali l'uomo diviene tale. Lo stadio dello specchio prepara in tal senso il passaggio definitivo dalla natura alla cultura: esso costituisce il presupposto generale dell'assoggettamento (cioè del divenir soggetto) [11]. E' il puro rapporto immaginario, la struttura che più tardi, dopo l'assimilazione dell'ordine simbolico, verrà "riempita" dalle differenti immagini (o figure immaginifiche) che verranno ascritte all'individuo (rendendolo soggetto). Ciò che il soggetto ha da essere, l'altro, ciò che egli non sa di essere, viene fornito dall'ordine simbolico. Questo è ciò che assegna al soggetto le "immagini" con le quali esso ha da identificarsi e nelle quali viene a riconoscersi.
"L'intervento di un terzo - il padre, la legge, il simbolo - informa l'immaginario, altrimenti votato al caos; il linguaggio sovrano abbatte la torre di Babele dove ciascuno, sentendo solo il suono della propria voce, si condanna al solipsismo della follia" (Pontalis 1956, 176). Con l'Edipo interviene dunque un terzo che spezza il rapporto duale immaginario: il "padre", che, separando il bambino dalla madre, separa il bambino da se stesso, dal suo godimento (jouissance) pieno. Il bambino vive questa separazione come una castrazione: egli viene derubato dell'onnipotenza della fase narcisistica [12]. Di conseguenza egli vede nel terzo (nel padre) un nemico ed una minaccia, l'istanza insomma che proibisce il precedente rapporto con la propria madre, cioè la piena soddisfazione dei propri desideri. Facendo questo tale istanza interviene sotto forma di legge: "è grazie al Nome-del-Padre che l'uomo non resta legato al servizio sessuale della madre, che l'aggressione contro il Padre sta a principio della Legge, e che la Legge è al servizio del desiderio che istituisce con la proibizione dell'incesto" (Lacan 1974, 856).
Da tale proibizione sorge dunque una mancanza che costituisce il desiderio. Infatti attraverso la castrazione (la separazione dalla madre) viene a mancare l'oggetto di identificazione assoluta, viene a mancare l'io. In tale vuoto, che è un patire dato che in esso sorge un desiderio non più e non ancora soddisfatto, interviene l'ordine simbolico. Questo, dopo che l'esclusiva identificazione singolare è andata definitivamente perduta, fornisce le identificazioni attraverso cui il soggetto cercherà più tardi, come uomo o come donna, di soddisfare i propri desideri. "La crisi dell'Edipo è determinante per la stessa maturazione sessuale (...) è... l'assunzione della castrazione a creare la mancanza per cui il desiderio si istituisce. Il desiderio è desiderio di desiderio, desiderio dell'Altro..., cioè sottomesso alla Legge" (ibid.). Il desiderio è dunque legato indissolubilmente alla Legge, tanto nel senso che è la Legge ad istituirlo, quanto in quello che esso può cercare la soddisfazione solo nell'ambito delle regole prescritte. "La funzione del padre reale non è quella di contrapporre il desiderio alla legge..., quanto di accordare l'una all'altro" (Safouan 1974, 138; cfr. Lacan 1974, 828).
Ma come vive in effetti il bambino la presenza di un terzo come castrazione? Come assimila la proibizione (la Legge)? E soprattutto: come esperisce ogni bambino sempre e di nuovo il complesso di Edipo? La risposta a tali domande ci conduce alla specificità della versione lacaniana della psicanalisi: la Legge viene trasmessa attraverso la lingua.
Come sappiamo Freud ha fornito una spiegazione filogenetica, nel momento in cui, con una prudenza non eccessiva, ha affermato che la castrazione ha effettivamente avuto luogo nelle fasi iniziali della cultura umana: un evento trasmesso quindi filogeneticamente, in differenti varianti, attraverso i fantasmi originari.
Freud ricorre così ad un mito - ciò che invece tanto Lévi-Strauss quanto Lacan, nei loro rispettivi campi d'indagine, intendono evitare [13]. Entrambi gli autori identificano piuttosto nella lingua l'istanza universale che trasmette l'ordine culturale (il divieto dell'incesto): "il linguaggio con la sua struttura preesiste all'ingresso che ogni soggetto fa in esso a un certo momento del suo sviluppo mentale. (...) Il soggetto, se può apparire servo del linguaggio, lo è ancor più di un discorso nel movimento universale del quale il suo posto è già iscritto alla sua nascita, non foss'altro che nella forma del nome proprio.
"Il riferimento all'esperienza della comunità come sostanza di questo discorso non risolve nulla. Poiché questa esperienza riceve la dimensione che le è essenziale dalla tradizione instaurata da tale discorso. Questa tradizione, ben prima che vi si iscriva il dramma storico, fonda le strutture elementari della cultura. E queste stesse strutture rivelano un ordine degli scambi che, foss'anche inconscio, è inconcepibile al di fuori delle permutazioni che il linguaggio autorizza" (Lacan 1974, 490) [14].
Ma come può la lingua trasmettere l'ordine simbolico, il sistema della parentela?
Scrive De Saussure che "nella lingua non vi sono se non differenze" (1991, 145). Assimilando la lingua, il bambino assimila le differenze che essa veicola: è la lingua che trasmette il sistema della parentela. "Questo è tuo padre!": in tal modo non viene solo nominata una figura con cui il bambino ha abitualmente a che fare. Nel contempo viene indicata (detta, enunciata) la differenza con le figure diversamente nominate con le quali un qualcosa è ammesso oppure no: sorge così un sistema nel quale ogni figura ha la sua collocazione. La denominazione differenzia: ciò che in una cultura risulta indifferenziato, in un altra può essere strutturato in opposti. Il sistema delle differenze, trasmesso comunque in primo luogo attraverso la lingua, costituisce un'immagine della realtà che si sostituisce alla realtà nella percezione che abbiamo di essa (è la lingua insomma che organizza la nostra percezione del reale). Che conseguenze ha tutto ciò per il psichico?
La lingua struttura l'apparato psichico: produce l'inconscio. Infatti essa è strutturata in modo tale da rendere impossibile il contatto con la realtà (con la realtà esterna ed interna): la lingua infatti - ovvero l'immagine della realtà che si sostituisce alla realtà nella percezione che abbiamo di essa - continua ad obbedire alle proprie regole di funzionamento. Ciò significa che noi percepiamo la realtà attraverso un sistema chiuso, che è reale - direi materiale - ma non è la realtà che esso enuncia. L'apparato psichico è "rinchiuso" in questo sistema. Come avviene tutto ciò?
Analizziamo il concetto di pulsione: la pulsione, che è di origine somatica, agisce nel psichico (dunque nel soggetto) attraverso i suoi rappresentanti: i rappresentanti ideativi (Vorstellungsrepräsentanten). Non si tratta tuttavia di una rappresentanza diretta, come se ad ogni singola pulsione corrisponda un singolo rappresentante. I rappresentanti delle pulsioni (con il loro importo d'affetto) sono piuttosto inseriti in quel sistema chiuso che relativizza fortemente la loro funzione rappresentativa, nel senso che si rapportano con ciò che rappresentano solo nella loro sistematicità: questa sistematicità è appunto la struttura linguistica in quanto ordine di significanti. Il significato (in termini più corretti la significazione o il referente) del rappresentante si perde nella rete dei significanti della struttura linguistica che il bambino assimila: sorge una cesura tra significazione e significante che rimuove la significazione e non la fa emergere: La significazione del significante può essere recuperata eventualmente solo indirettamente (per metafora o metonimia) attraverso la rete dei significanti e delle sue regole di funzionamento (talking cure). Il desiderio diventa un significante, mentre la ricerca della sua soddisfazione è una ricerca senza fine del significante "giusto" che, tuttavia, viene sempre mancato.
Ricapitolando brevemente: il bambino viene separato dalla madre. Questo produce una mancanza che non sarà più possibile colmare (ciò che Lacan chiama manque-a-être). Da questa mancanza, che è causata in ultima analisi dal linguaggio che spezza il rapporto immediato con se stesso e con la madre (e frammenta così la pienezza), sorge il desiderio come domanda. Il desiderio si articola dunque attraverso ciò che lo ha determinato, si articola come lingua, vale a dire attraverso quelle operazioni che la lingua rende possibile e che costituiscono la lingua: la metafora e la metonimia, o, in altri termini, l'asse verticale della selezione e quello orizzontale della combinazione. In fondo uno spostamento (un rinvio, una Verschiebung) senza fine: "il dramma del soggetto nel verbo è quello di mettere alla prova la sua mancanza ad essere" (Lacan 1974, 651) [15].
La rimozione originaria, da cui sorge l'inconscio, deriva dunque dalla struttura della lingua. Il bambino, sottomesso alla lingua, diventa soggetto. Infatti la significazione dei rappresentanti delle pulsioni va "perduta" nel momento in cui essi sono presi nella rete di significanti: ciò nonostante continuano ad agire - mediante la lingua - come rappresentanti di pulsioni [16]. La lingua che parla il soggetto è in ultima analisi determinata dalle significazioni rimosse (impropriamente potremmo dire "dimenticate"): vale a dire determinata dall'inconscio, dall'Altro (è l'Altro in quanto ha il suo posto al di fuori dell'io dell'enunciazione che esso tuttavia determina). E' l'Altro che parla, non l'io dell'enunciato. "L'effetto di linguaggio è la causa introdotta nel soggetto. Grazie a tale effetto egli non è causa di se stesso, ma porta in sé il verme della causa che lo scinde. Perchè la sua causa è il significante senza il quale non ci sarebbe alcun soggetto nel reale. Ma questo soggetto è ciò che il significante rappresenta, e il significante non sa rappresentare niente che per un altro significante: cui si riduce allora il soggetto che ascolta" (Lacan 1974, 838) [17].
L'effetto principale dell'assoggettamento, ovvero dell'assimilazione della lingua da parte dell'individuo, è dunque il decentramento del soggetto rispetto all'io che parla: la scissione (Spaltung) dell'io, come viene definita da Freud (e refente, fenditura, da Lacan). "Penso dove non sono, dunque sono dove non penso (...). Ciò che si deve dire è: non sono, là dove sono il trastullo del mio pensiero; penso a ciò che sono, là dove non penso di pensare" (ibid., 512s.).
Non si tratta quindi di "sapere se parlo di me in modo conforme a ciò che sono, ma se, quando ne parlo, sono lo stesso di colui che parla" (ibid., 512). Di conseguenza "l'enunciato non dovrà mai essere preso in quanto tale, ma come un enigma, un rebus dentro cui il soggetto si nasconde" (Rifflet-Lemaire 1972, 103).
La lingua ha dunque un effetto illusorio - un effetto che Althusser più tardi definirà ideologico. Esso consiste nel fatto che il soggetto crede di parlare, mentre invece è la lingua (e l'ordine simbolico in essa strutturato) che parla: parla l'inconscio, dal momento che il soggetto è costituito a seguito della sottomissione alla lingua che suscita l'inconscio. Ma dal momento che l'inconscio parla attraverso il soggetto ed essendo il soggetto proprio questo parlare, sorge nel soggetto l'illusione di essere l'origine del parlare ed effettivo soggetto dell'enunciazione: immagina di essere autonomo. Ciò significa che la sottomissione, attraverso la lingua, all'ordine simbolico che costituisce il soggetto, costituisce anche l'illusione della sua autonomia, dato che la lingua non rende la sottomissione percepibile [18].
L'accesso della significazione al significante è bloccato (sbarrato), per quanto il significante continui a venir trattato come una significazione ed in effetti è l'unico possibile accesso (potremmo meglio dire: l'unico accesso pensabile) ad essa. Sorge da ciò l'illusione di "dire" una significazione mentre si "dice" invece il significante (si dirà forse ciò che si vorrà coscientemente dire, ma ciò che si vuol dire, e che si è detto, non corrisponde a ciò che si dice). Se dunque il soggetto parla, parla l'io che egli immagina di essere: ma ciò che egli immagina di essere è stabilito nell'ordine simbolico. Chi parla è allora l'io (significante) della lingua (dell'ordine simbolico).
Il soggetto è l'io della lingua. In tal senso possiamo dire con Lacan "che il soggetto non si confonde con l'individuo" (Lacan 1991, 11) e che esso è "decentrato rispetto all'individuo" (ibid., 12), oppure con Althusser che gli individui sono "'astratti' rispetto ai soggetti che sono sempre-già" (Althusser 1977b, 113).
Ma se il soggetto è l'io della lingua, l'io (je) è il soggetto della parole. Nella parole il rapporto immaginario sorto con lo stadio dello specchio s'interseca con l'ordine simbolico: l'Altro fornisce le identificazioni che formano l'io - le immagini speculari dove viene trasposto l'io (moi) dell'individuo divenuto soggetto: il luogo dove l'io si riconosce come soggetto e come tale viene riconosciuto.


[1] "Abbiamo infatti affermato - scrive Lévi-Strauss - che la proibizione dell'incesto e l'esogamia costituiscono regole sostanzialmente identiche, differenziate tra loro soltanto da una caratteristica secondaria, e cioè dal fatto che la reciprocità, pur presente in ambedue i casi, è disorganica nel primo, ed è invece organizzata nel secondo" (ibid., 112).
[2] Infatti "fa parte della natura del significante introdurre con la differenziazione, l'ordine; e, a dire il vero, lo stesso concetto di ordine non è concepibile, a rigore, al di fuori del concetto di significante" (Safouan 1974, 41).
[3] In tale costruzione la simbolizzazione della realtà - vale a dire l'ordine simbolico come mediazione necessaria tra percezione e realtà - è transtorica. Non è transtorico invece lo specifico ordine simbolico delle differenti formazioni sociali.
[4] Si dovrebbe qui assumere lo "specchio" come una metafora, che da una parte illustra un'esperienza decisiva vissuta dal bambino, ma che dall'altra può generare degli equivoci. Si tratta in realtà di un processo relativamente lungo (compreso tra il sesto e il diciottesomo mese di vita) nel quale l'Io del bambino comincia a costituirsi attraverso l'immagine del suo simile con il quale egli interagisce. Prima di questa fase il bambino si esperisce come frammentato, non essendo in grado di coordinare i suoi movimenti e le sue percezioni sensoriali. E' ciò che Freud definisce "impotenza motoria" (Freud 1951, 107). Lo stadio dello specchio corrisponde solo in parte al passaggio, descritto da Freud, dall'autoerotismo al narcisismo (primario). La concettualizzazione di questo stadio è un contributo originale di Lacan. Una fonte importante è costituita - oltre che naturalmente dai risultati delle varie ricerche psicanalitiche - dalle ricerche di Henri Wallon (cfr. Ogilvie 1988, 100s.). Wallon fu tra gli anni Trenta e Quaranta uno dei più influenti psicologi francesi (soprattutto nel campo della psicologia infantile) ed esponente importante del partito comunista. Durante gli anni Quaranta si avvicinò all'approccio pavloviano.
[5] Lacan riprende qui la terminologia del biologo Jakob von Uexküll (cfr. Ogilvie 1988, 68).
[6] E' necessario distinguere tra io (moi) ed io(je). Il primo è l'io dell'enunciazione (cioè lo spazio nel quale si produce l'enunciato); il secondo è l'io dell'enunciato, ciò che l'enunciatore dice di essere. Il je non coincide con l'io dell'enunciazione (in altri termini, chi effettivamente parla non è l'enunciatore; chi viene esplicitamente inteso - ad esempio nelle frasi in seconda o terza persona - non è chi viene enunciato come soggetto della frase; più in generale: ciò che si enuncia non è ciò che effettivamente si dice ed anzi quanto si enuncia può nascondere quanto si dice). D'altra parte, come vedremo meglio in seguito, l'io dell'enunciazione non coincide con l'individuo se non nel senso che quell'io gli è dato da un'identificazione.
[7] Si tratta di una ristrutturazione del rapporto transitivista attraverso l'ordine simbolico. E' estremamente importante il modo in cui avviene tale ristrutturazione. Nella schizofrenia ad esempio il rapporto transitivista continua ad essere quello predominante.
[8] Nella versione italiana dell'opera di Rifflet-Lemaire si traduce erroneamente - e si tratta di un errore piuttosto grave - l'originale méconnaisance con "ignoranza" (Rifflet-Lemaire 1972, 222). Preferiamo quindi citare direttamente dall'originale.
[9] Finzione non nel senso che il soggetto non sarà se stesso, giacché non vi è un se stesso che precede (tanto sul piano ontologico quanto su quello cronologico) ciò che si viene ad essere. Finzione piuttosto, nel senso che l'io (moi) assume come suo (come "je") ciò che in realtà gli viene assegnato (dalla cultura, dalla lingua, dall'ordine simbolico). Non v'è dunque alcun pensiero "critico" a fondamento del concetto lacaniano di alienazione (il termine è in verità fourviante): non vi è un essere precostituito che diventa altro da sé, ma un essere che si costituisce esclusivamente attraverso ciò che gli proviene "dall'esterno".
[10] Scrive Miller che lo stesso adattamento del soggetto alla realtà non è affatto "naturale": l'adattamento "non potrebbe dunque venir pensato secondo i modelli che valgono per il mondo animale, esso avviene attraverso l'intervento di un sistema correttore" (Miller 1968, 98). Tale opacità del reale - vale a dire l'opacità della percezione della realtà - si completa a seguito dell'assimilazione dell'ordine simbolico. Con lo stadio dello specchio essa viene soltanto introdotta, in quanto con esso emerge la struttura (la Gestalt, dice Lacan) che rende possibile la costituzione dell'io solo attraverso le identificazioni. Un rapporto corretto, non immaginario può seguire solo ad una disarticolazione scientifica dell'ordine simbolico. Anche le scienze della natura devono, secondo il modello lacaniano, attraversare la mediazione simbolica se vogliono raggiungere (almeno asintoticamente) la conoscenza. Ciò nonostante la conoscenza non può venir intesa come aedequatio rei. Come si vede, ciò ci riconduce alla epistemologia althusseriana. In effetti potremmo equiparare il concetto (althusseriano) di oggetto della conoscenza con quello di significante - così come esso viene inteso innanzittutto dalla linguistica strutturale e quindi dalla psicanalisi lacaniana. Secondo Martel l'epistemologia althusseriana deriva interamente da Lacan (più esattamente: dalla "antropologia lacaniana", cfr. Martel 1984, 13, 43). Ciò ci pare in verità eccessivo: un parallelismo, che nella linea Duhem-Cavaillès-Bachelard-Canguilhem raggiunge anche Foucault, viene forzatamente trasformato in un rapporto di derivazione.
[11] "In questo punto di congiunzione tra la natura e la cultura, che l'antropologia dei giorni nostri (1949, SG) scruta ostinatamente, solo la psicanalisi riconosce quel nodo di servitù immaginaria che l'amore deve sempre ridisfare o tagliare" (Lacan 1974, 94).
[12] La psicanalisi chiama "fallo" la perdita dell'essere-pienamente-soddisfatto, il separato. Safouan scrive che "l'edipo non è in fondo che una forma culturale tra le altre, anch'esse possibili purché svolgano la medesima funzione, che è la provocazione della funzione della castrazione nel psichico" (Safouan 1974, 124).
[13] Lévi-Strauss critica l'approccio di Freud in Totem e tabù e contrappone ad esso il procedimento esplicativo specifico della situazione analitica: "non si sottolineerà mai abbastanza che, approfondendo la struttura dei conflitti di cui il malato è teatro per rifarne la storia e giungere così alla situazione iniziale intorno alla quale si sono organizzati tutti gli sviluppi succesivi, egli segue un cammino inverso a quello della teoria, così come Totem e tabù ce la presenta. Nel primo caso si risale dall'esperienza ai miti, e dai miti alle strutture; nel secondo si inventa un mito per spiegare i fatti: in breve, si procede come il malato, invece di interpretarlo" (Lévi-Strauss 1984, 630s.).
[14] La sessualità, in quanto conseguenza dell'Edipo, si ripartisce, dopo il sorgere dell'organizzazione delle pulsioni parziali sotto il primato delle zone genitali, nel modo seguente: "dal lato del vivente in quanto essere preso nella parola, in quanto non può in fondo mai accadervi tutt'intero, in quell'aldiqua della soglia che tuttavia non è né un dentro né un fuori, non c'è accesso all'Altro del sesso opposto se non per la via delle pulsioni cosiddette parziali, in cui il soggetto cerca un oggetto che gli sostituisca quella perdita di vita che è la sua di essere sessuato.
"Dal lato dell'altro, luogo in cui la parola si verifica incontrando lo scambio dei significanti, gli ideali cui dànno supporto, le strutture elementari della parentela, la metafora del padre come principio della separazione, la divisione sempre riaperta nel soggetto della sua primitiva alienazione, da questo lato soltanto e per le vie che abbiamo appena detto, devono instaurarsi l'ordine e la norma che dicono al soggetto che cosa si deve fare come uomo o donna" (ibid., 853).
[15] "fatto di cui lo psicoanalista - prosegue Lacan - potrebbe e dovrebbe precisare certi momenti, mentre allo psicologo, con i suoi questionari e le sue registrazioni, questi momenti non appariranno tanto presto, almeno non prima che un film sia riuscito a cogliere la struttura della colpa come costitutiva del gioco degli scacchi" (ibid.).
[16] "Ciò che non viene 'nominato', non esiste nella 'realtà' umana. Ciò non le impedisce tuttavia di produrre in quanto reale i suoi effetti: i sintomi, le allucinazioni" (Ogilvie 1988, 117).
[17] "Accordare al significante questa priorità sul soggetto, per noi è tener conto dell'esperienza apertaci da Freud, e cioè che il significante gioca e vince, se così possiamo dire, prima che il soggetto ne sia avvertito, a tal punto che nel gioco del Witz, il motto di spirito, ad esempio, esso sorprende il soggetto" (ibid., 843).
[18] Solo la scienza può scoprire lo sbarramento tra significazione e significante, senza tuttavia rimuoverlo, senza poter dunque fornire alla significazione, alla cosa, il suo significante (che è in fondo la ricerca della lingua perfetta).
Per quanto riguarda il soggetto: essere cosciente del proprio inconscio non significa dissolvere l'inconscio ed innalzarsi ad origine del proprio agire: significa piuttosto conoscere la propria sottomissione all'ordine simbolico: una conoscenza che non potrà mai essere evidente.


Riferimenti bibliografici

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- (1972) Introduzione a Jacques Lacan. Roma

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- (1974) Études sur l'Oedipe. Paris

 


Sebastiano Ghisu insegna filosofia del linguaggio presso la Facoltà di scienze politiche dell'Università degli studi di Sassari. Ha svolto attività di ricerca presso la Freie Universität di Berlino, dove ha conseguito il dottorato. Ha collaborato alla rivista Das Argument ed è stato membro della redazione del Dizionario storico-critico del marxismo (Historisch-kritisches Wörterbuch des Marxismus) sotto la direzione di W.F. Haug (per tale dizionario ha redatto la voce Entfremdungsdiskussion). Le sue ricerche si sono mosse fondamentalmente 1. nell'ambito della teoria del soggetto, nell'individuazione delle modalità e dei meccanismi (linguistici e cognitivi) attraverso cui il soggetto è stato rappresentato al nostro sguardo come ovvietà o fatto originario; 2. al confine tra filosofia del linguaggio ed epistemologia, nell'analisi del rapporto tra meccanismi di funzionamento della lingua (intesa in senso lato come sistema segnico) e meccanismi di produzione della conoscenza. Tra i suoi lavori: Georg Simmel: l'ideologia dell'individualità, Cagliari 1991; Althusser e la psicanalisi, Cagliari 1991; Ewigkeit des Unbewußten - Ewigkeit der Ideologie, Hamburg 1995; Gli articoli: Dialogo, scienze e verità. Una critica alla teoria della verità di Jürgen Habermas. In: Atque, Aprile 1997; Il paradosso della soggettività. Il concetto di discontinuità nell'opera di Michel Foucault. In: Iride, Agosto 2000. Ha inoltre curato la parte relativa alla figura di Platone in: Filosofie nel Tempo, a cura di Giorgio Penzo, Milano, 2001.