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Massimo Dasara, Non desiderare la donna d'altri? Ma così ho più tempo libero

Massimo Dasara, Non desiderare la donna d'altri? Ma così ho più tempo libero, in "XÁOS. Giornale di confine", Anno II, N.2 Luglio-Ottobre 2003, URL: http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_2/5.htm

 

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Uno si mette a scrivere perché non sa tirare di boxe e non ha fegato, perché ha i denti storti e non può sorridere come vorrebbe, perché per gli impotenti di ogni sorta non c'è altra strada, perché tutti i brutti sono scrittori o assassini e lui non è capace di far del male ad una mosca, perché scrivere lo fa sentire importante, perché per essere chiamati scrittori non c'è bisogno di scrivere bene e per essere chiamati figli di puttana fa lo stesso se si ha una madre che è una santa, perché ha paura di andare alla deriva senza far nulla, perché non può bere ogni sera, perché ama dio ma odia le associazioni senza scopo di lucro, perché non ha una ragazza, perché non ci sono emozioni ma insulti, perché a casa sua non c'è la televisione e la radio si è rotta, perché la moglie del vicino è un bonbon, perché ha paura di diventare calvo e per questo evita gli specchi. Uno si mette a scrivere perché non osa rapinare un supermercato, perché ama una donna e lei è la fidanzata del gallo del quartiere, perché non ci sono abbastanza riviste porno, perché vuol fare qualcos'altro oltre a cagare e masturbarsi, perché non è il gallo del quartiere e non è neanche il più forte o il più spiritoso, perché non è niente di niente, perché non vale un cazzo, perché se esce di casa lo fanno a pezzi, perché sua madre urla tutto il tempo, perché non ci sono illusioni né luce alla fine del tunnel, perché la sua mente vola basso e non sarà mai un altro Cioran, perché non ha il coraggio di saltare, perché non vuole la moglie brutta che si merita, perché ha paura di morire senza aver assaggiato un bel culetto, perché non ha padre né amici né fortuna, perché non sa sputare come Clint Eastwood, perché rimane impantanato tra un'intenzione e l'altra, perché c'era una volta l'amore ma ho dovuto ammazzarlo.
Il bello è che scrivere non serve a nulla di ciò che uno vuole. Scrivere è un limite, un dolore, un difetto in più. Il bello che dopo averlo fatto stai malissimo. Niente è cambiato, tutto rimane al suo posto (tranne i tuoi fottuti capelli), Pelè non torna in campo. Il brutto è che scrivi e Pambelè va al tappeto steso da un gringo, un gringo maledetto che è stato dentro per aver picchiato sua madre. Il brutto è che Pambelè non è la madre del gringo e - per quanto tu scriva - rimane al tappeto. Il bello è che scrivi e continui a sognare la moglie del vicino, sogni di afferrarla per le orecchie e darle una bella ripassata. Il brutto è che scrivere non ti guarisce dagli impulsi assassini, che rapinare un supermercato rimane il tuo obiettivo impossibile. Il brutto è che desideri ancora un amore indimenticabile. Il bello è che scrivere è un altro modo di cagare e masturbarsi. Il brutto è che leggi grandi autori ma solo Bukowski ti rimane. Il brutto è che un giorno la ragazza carina viene a sapere che scrivi e lo stesso non si lascia scopare a morte. Il brutto e che scrivere serve a tutto quello che tu non vuoi.
"Ciao mamma."
"OH, MIO DIO, Rep, hai le scarpe SPORCHE DI CACCA."
"Non urlare, pulisco il pavimento."
"TOGLITI DI LI', TORNA DA DOVE SEI VENUTO"
"Va bene, mamma, ma non urlare."
"NON STO URLANDO."

Efraim Medina Reyes,
C'era una volta l'amore ma ho dovuto ammazzarlo

 

Che la relazione tra desiderio ed appagamento riguardi la sfera delle pulsioni non v'era dubbio persino prima di Freud, il quale ha forse avuto il demerito sociale di aver messo in piazza i panni sporchi che, se non proprio lavati in famiglia, venivano almeno riposti con cura in fondo allo scantinato.
Avverto lo sfregolio tipico delle membrane cellulari dell'epidermide che vengono costrette una addosso all'altra dall'improvviso arricciarsi di un naso. Certo, dire castronerie può fungere da surrogato all'aver qualcosa da dire.
Dopo più d'un secolo di alberi sacrificati al nobile scopo di arredare gli studi di terapeuti dell'anima, o della psiche, il che riesce alla medesima cosa, anche se con l'alibi che la moderna transizione di pensieri via cavo e satellite rende il blaterare meno nocivo per il nostro fabbisogno di ossigeno, mi sembra alquanto inutile approcciare il buon Sigmund dal punto di vista della valenza teoretica delle sue elucubrazioni, innovative a guardarne la deriva antropologica e sociale, banalmente pan-sessuali a sentire epigoni e detrattori, alimento indispensabile della moderna Videoletteratura, essendosi esaurite già da qualche millennio le possibilità di concatenazione di trame innovative.
Anch'egli sembrò stupito che la letteratura in materia di sogni non riportasse conclusioni che sembravano addirittura banali nella loro semplicità: " Nessuno ha avuto il più lieve sospetto che i sogni non siano senza senso, bensì appagamenti di desideri..." . Più tardi, nello scritto che Freud elaborò per la prefazione alla seconda edizione dell'Interpretazione dei sogni, ancora lo stupore pervade il suo animo: "…I miei colleghi psichiatri non sembrano essersi data alcuna pena per superare la sorpresa iniziale che la mia nuova concezione del sogno poteva far sorgere, mentre i filosofi di professione, ormai soliti sbrigare in poche frasi - perlopiù sempre le stesse - i problemi della vita onirica, intendendola come un'appendice degli stati di coscienza, non hanno evidentemente notato che proprio da questo nuovo punto di vista era possibile dedurre considerazioni tali da condurre a un radicale mutamento delle nostre teorie psicologiche. . ."
C'è il rischio però di sembrare eccessivamente freudiani, o eccessivamente filosofi, a dare per scontato che le imperfezioni di funzionamento della nostra volontà siano semplicemente riconducibili a questioni di interferenze gerarchiche tra sfere diverse della nostra personalità. A ben vedere sono notevoli le somiglianze tra la tripartizione freudiana in ES, IO e Super-IO, e la "triade morale" Dio, uomo e il diavolo.
Si potrebbe riassumere: "IO non volevo farlo, mi ha convinto ES, vedrai che ora arriva Super-IO a punirmi!".Quando compiamo il bene è merito nostro, quando compiamo il male è colpa di qualcosa di esterno\interno a noi. In fondo niente di molto diverso dalla vecchia morale cristiana, se non fosse che bene o male il più delle volte dipende dal doverne rendere conto a qualcuno, la differenza stà nella comodità della posizione durante la confessione. Senza contare che gli psicanalisti hanno sarti decisamente più alla moda.
Non desiderare la donna d'altri sembra così una questione esclusivamente morale e legata alle scariche ormonali del basso ventre dei maschietti libidinosi, o indemoniati, o sessualmente frustrati dall'iniezione di una gigantesca infermiera teutonica. Una volta tenute sotto bromuro le pulsioni, la nostra razionalità può tornare a primeggiare ed a condurci verso i traguardi più ambiti. Ma si può veramente non desiderare la donna d'altri se si ha la moglie brutta che ci si merita? O si può rifiutare la donna d'altri se ha il marito brutto che non si merita?
Già, perché se la frustrazione nasce da desiderio inappagato, se la malattia nasce da frustrazione repressa, come mai miliardi di cristiani giocoforza osservanti succedutisi nella storia non hanno portato alla nascita della psicanalisi almeno un millennio prima? Forse perché quello che veniva proposto in cambio era la Verità assoluta?
In fondo se andiamo a vedere il senso della verità, si potrebbe dire che soddisfa una curiosità, più la verità è universale più universale sarà la curiosità soddisfatta dalla conoscenza di tale verità. E così, se la curiosità nasce dal non essere appagati, e se la curiosità è il combustibile della conoscenza, e soprattutto se la conoscenza ci appare come un processo ad infinitum e non come uno scrigno nascosto che basterebbe ritrovare perché nessuno ne reclami il possesso, appare chiaro come la relazione tra desiderio ed appagamento che nel campo delle pulsioni sembrava intima e monogama, in quello della razionalità sembra essere una passione malata ed autodistruttiva, con i due amanti che cercano di mutare l'altro in una copia obbediente di se stessi.
Già, perché finchè la passione rimane dalle parti dell'osso pelvico ha sempre a disposizione un paio di uscite di servizio, mentre quando, risalendo od elevandosi come si usa dire in Filosofia, supera il cervelletto è destinata a girare in eterno nei solchi corticali.
Davvero il pensiero è mosso dalle strane ed impalpabili leggi della logica, esiste il ragionamento libero ed inutile, distaccato, obiettivo ? Davvero arriveremmo alle conclusioni nostre e non a quelle del nostro oppositore, se avessimo le sue stesse pulsioni e motivazioni? Davvero si scrive perchè si pensa di poter dire qualcosa di nuovo, o si spera che nessuno abbia visto quello che è stato detto prima? Sentiamo a questo proposito il pensiero di Nietzsche:
"Dopo aver letto abbastanza a lungo i filosofi ed averli tenuti d'occhio mi dico che dobbiamo considerare ancora come attività dell'istinto la gran parte del pensiero cosciente, persino nel caso del pensiero filosofico; dobbiamo trasformare qui il nostro modo di vedere, come si è fatto a proposito dell'ereditarietà e dell'innatismo. Come l'atto della nascita ha poca importanza nel processo e nel progresso dell'ereditarietà, altrettanto poco l' "essere cosciente" può essere contrapposto, in qualche modo decisivo, all'elemento istintivo, - la parte cosciente del pensiero di un filosofo è guidata segretamente dai sui istinti e costretta in binari fissi. Anche dietro ogni logica e l'apparente dispotismo dei suoi movimenti stanno giudizi di valore, detto con maggiore chiarezza, esigenze fisiologiche per il mantenimento di un determinato tipo di vita. Per esempio che il determinato abbia più valore dell'indeterminato, che l'apparenza abbia meno valore della "verità": tali valutazioni, pur con tutta l'importanza normativa che hanno per noi, potrebbero essere tuttavia soltanto valutazioni pregiudiziali, un determinato tipo di niaiserie, quale può essere appunto necessaria per la conservazione di esseri come noi. Ammesso, cioè, che non proprio l'uomo sia la "misura delle cose"…"
Viste così le cose la valenza del divieto di desiderare non risiede più nel non desiderare stesso, cosa impossibile credo anche ai tempi dei compilatori di libri in pietra. L'esistenza di un substrato morale come cemento della socialità passa attraverso l'eludere la domanda su come la donna d'altri sia stata "acquistata" da altri, per puntare sul fatto che non la si debba desiderare, che ciò che non trova spiegazione razionale né appagamento emotivo possa essere comunque fonte di guadagno nell'aldilà, ma alla fine per non ricorrere allo "psicanalista" si è costretti a crederci nell'aldilà.
Pensare che si possa non desiderare la "donna d'altri" ha in fondo la stessa valenza del pensare che si possa discutere per arrivare a convincere qualcuno del suo torto, In fondo è apprezzabile il tentativo di mantenere la calma ed i buoni rapporti, peccato che proprio in nome del possesso di donne e della verità si siano consumate alcune delle più orribili carneficine della storia, e che tuttora il fine settimana si origino risse fuori da locali notturni le cui cause scatenanti sono spesso questioni amorose o di idee contrastanti, quelle che la stampa chiama futili motivi.
In realtà oggi sarebbero maturi i tempi per sostituire le "donne d'altri" con esseri umani autodeterminanti , ma cosa si potrebbe più usare come ultimo tentativo disperato di ricatto morale da parte di un fidanzato mollato, se ti amo diventa non più uno scambio di reciproco possesso? Che siano queste le conseguenze della morte di Dio? Che tutti abbiamo pensato che con la liberalizzazione della morale potessimo finalmente accoppiarci con le fidanzate altrui e non abbiamo pensato che questo prima o poi avrebbe portato la nostra su altre vie? Che evoluzione rappresenta sostituire una verità con un'altra verità, magari più universale, più moderna, ma in fondo sempre l'affermazione dei bisogni di qualcuno ma non di tutti, perchè che non vi sia una soluzione universale appare oggi quantomai chiaro, anzi, il proliferare di quella che sembrava la via verso la conquista definitiva della verità, l'informazione, porta la verità sempre più verso una questione di energia a disposizione.
Pensare che si possa non desiderare la donna del vicino se è più verde e come pensare che si possa convincere un premier di uno stato occidentale che nessuno è in malafede se vuole convincerlo ad espiare i peccati che ha commesso prima di diventare premier, visto che egli pensa veramente che per essere un premier si debba essere come lui, peccati compresi. E in realtà come dargli torto, nessun messo divino lo ha fulminato,e se agli occhi di Dio non ha commesso peccati come può un altro uomo esserne così sicuro?
Ma questo è il segno tangibile che Dio è morto, che dobbiamo prenderci la responsabilità del nostro comportamento razionalizzante e democraticizzante, che la verità somiglia molto alla precedenza ad uno stop, nonostante sia disseminato di cartelli alla fine è di chi se la prende, e se a prendersela è un camionista di 130 tonnellate con rimorchio è inutile sperare nella presenza di un vigile, a meno che non sia di 130 tonnellate con rimorchio ed oltretutto disposto a frapporsi fra noi ed il camionista, altrimenti non rimane che spostarsi.
Avete mai chiesto ad un rimorchio se ha veramente desiderato bruciare uno stop?