Le
prime due incursioni costituiscono la prima parte di un
percorso di scavo estetico in tre momenti, che mira a riflettere
esteticamente sullo spazio, tentando di aprire orizzonti
di senso nella percezione della dimensione spaziale a partire
da Mirò e oltre il moderno.
Tali due incursioni partono dal rapporto di Mirò
con il linguaggio tradizionale ed il surrealismo come estraniazione;
lo legano ai problemi della visione e a partire dalla seconda
incursione il discorso si disloca nella questione contenuto-
forma. Una strada al limite si è aperta.
Una Introduzione
Il breve articolo si presenta come escursione- incursione
sul tema della nuova medialità dello spazio e della
sua potenza in una concezione dinamica, estesa, nervosa
della estetica. L'estetica come studio dell'umano coinvolgimento
sensoriale squarcia il velo del classico tema apparenza/
realtà, uno dei più grandi crucci della storia
della filosofia, disperdendo e frantumando le classiche
mappe sensoriali di cui la geometria classica prospettica
è il più tipico, esemplare, ed in quanto tale
da analizzare, caso, quasi una summa.
Tali appunti si autodefiniscono e vengono scritti sulla
base di questa convinzione aprospettica, antielitaria e
antipurista dell'estetica propria di chi li ha scritti,
e sono una parte appunto non mappabile, delocalizzata, di
un discorso che in quanto incursione, nel mondo della pittura
surrealista di Mirò, dell'architettura di Moneo che
gli ha dedicato l'edificio, nell'intreccio con le idee mediali
di McLuhan, è al tempo stesso escursione teorica
applicata nel processo di estetizzazione della vita quotidiana,
dove coscienza sensoriale non è più necessaria
per una fruizione artistica, ma per una difesa nell'oltre-corte,
nell'oltre-agorà dell'esteso sistema nervoso del
richiamo ad uno smarrimento creativa. Escursione perché
si intravedono tutta una serie di temi che arrivano a toccare
la storia e di cui altrove chi scrive si è occupato,
ad esempio la relazione tra utopia, rottura artistica, e
totalitarismi, nel rapporto tra prospettiva neutrale e follia
.
L'incursione si sviluppa partendo dal rapporto tra la ricerca
surrealista e la tradizione, rapporto ambiguo ma di sostanziale
approdo a nuove forme spaziali. Dopo avere posto attenzione
allo strumento della visione ci si addentra con attenzione
nel linguaggio del pittore catalano Mirò, nella sua
originalità, nel coinvolgimento creativo dei sensi
non mai astratto ma legato alla propria sentimentalità.
Attraverso notazioni sui dipinti si giunge all'idea nuova
di uno spettatore scomodato dalla poltrona prospettica,
capace di interrogarsi e rimeravigliarsi della realtà
percettiva che lo circonda. Si passa alla sub- questione
epistemologica, inconscia interrogazione sulle fonti della
sensorialità tanto coinvolta, passo verso la coscienza
filosofica della difesa estetica.
Questa ricerca di senso ci porta a leggere con i sensi la
richiesta di uno spazio, la nuova richiesta antilineare
di spazio nell'oltre- museo.
E infine usciamo a veder le stelle, ultima escursione nell'incursione,
consapevoli di uno smarrimento oltre-donchisciottesco nell'estetica
come innamorati terreni, tutti.
Incursione I
La Tradizione
La possibilità di mettere
in discussione il concetto di spazio e di prospettiva nella
iconografia di Mirò, deve necessariamente intrecciarsi
con la discussione sulla ricerca contenutistica e soprattutto
formale che molte correnti surrealiste cercano di mettere
in atto.
Tenderemo ad indicare le peculiarità assolute che
comunque Mirò riveste rispetto ad ogni gioco di "corrente"
artistica: infatti l'evoluzione del pittore catalano ci
regala un terreno privilegiato per la comprensione di una
dimensione spaziale che si evolve come risposta personale
alle nuove esigenze di pittura.
Saranno d'altra parte proprio le considerazioni sullo spazio
centrali per un fecondo allacciamento al discorso architettonico,
dove la geometria distrutta delle prospettive di Mirò
si dovrà inserire in un contesto nel quale l'ambizione
massima sarà la resa di una tridimensionalità
ispirata alla fondamentale bidimensionalità pittorica
della pittura dell'artista catalano.
Come mostra-museo l'edificio di Moneo deve permettere un
percorso attraverso la pittura che porti l'osservatore a
comprenderne la nuova carica spaziale e formale che ne costituisce
il massimo tratto espressivo. La architettura sarà
chiaramente costretta a ripensare la sua stessa geometricità;
il problema si moltiplicherà e chiarirà esponenzialmente
quando considereremo il rapporto con l'ambiente esterno
in una sorta di rapporto controambientale, rapporto necessario
in quanto nessuna struttura architettonica può valere
come astrazione da un contesto urbanistico e più
sostanzialmente ambientale.
Partiamo con il dire che astrazione non è possibile
fare nemmeno per la succitata ricerca formale-linguistica
surrealista. Gli artisti del gruppo in senso largo, si proponevano
una ricerca che se da un lato sarebbe stata di rottura,
al tempo stesso calava la loro capacità ideativa
in un contesto di tradizione mai dimenticato ed importante
da possedere [1].
Il raggiungimento di una nuova conoscenza non può
edificarsi semplicemente sulle fumanti macerie; quindi nemmeno
potremo aspettarci che ciò avvenga sulle fumanti
macerie della geometria prospettica. La tradizione sarà
inserita in un processo globale nuovo, in cui il codice
logico a priori non avrà ragione di essere. La volontà
di creare lo spazio della surrealtà certo approda
a varie soluzioni: ad esempio pensiamo alle soluzione pittoriche
tecnicamente tradizionali di Yves Tanguy, le quali però
confluiscono nella formazione di uno spazio psicanalitico,
dove la mimesi della natura resta un residuo incomprensibile
(lo schema prospettico resta, come in Magritte, abbastanza
tradizionale pur nell'allontanamento dal reale) .
Questo è solo la punta di un fenomeno di attraversamento
del fiume della tradizione da parte della prospettiva classica
verso nuove forme spaziali. A questo proposito una grande
enciclopedia di riflessione linguistica ci è offerta
da Magritte; non ci interessa se poterlo classificare surrealista
o meno, perché la potenza della sua riflessione antipittorica
e meta-pittorica ci mette in contatto con i problemi della
visione e del suo sistema logico. Ma bisognerà tornare
sul problema epistemologico.
Il Linguaggio
Il surrealismo in pittura come
in poesia si proponeva di sconvolgere la funzione meramente
comunicativa del linguaggio come strumento, lo strumento
della visione, e quindi anche l'andamento prospettico doveva
essere messo in un processo di sconvolgimento metamorfico
che sarebbe stata il trampolino di lancio per l'edificazione
pittorica di un nuovo spazio.
Noi ritroviamo fin qui Mirò; ma ne vediamo la peculiarità
oltre, ossia nel linguaggio personale che prova a creare.
La tecnica tradizionale comincia a vorticare nelle deformanti
metamorfosi come nei quadri di Masson.
Il concetto stesso di sperimentazione che anima la ricerca
surrealista, e che certamente animerà Mirò,
si relaziona alla riflessione sull'assenza di un unico punto
di vista [2].
Se Magritte ha privilegiato quest'ambito di riflessione
sulla visione, altri come Ernst e soprattutto Mirò
hanno caricato di nuovo senso le forme ed i loro spazi.
Si crea un processo autonomo di evoluzione delle forme che
risponde ad una esigenza artistico-creativa fondamentale
per i liberi spazi che cercherà di trovare e diradare.
Mirò allora è certo legato all'avanguardia
per questa tensione creativa, già dagli esordi quando
non si tira indietro dinanzi al dibattito che nell'avanguardia
stessa nasce, sulla identità della mediterranea cultura
catalana. Il suo stesso proposito di assassinare la pittura
lo lancia a piena velocità in quell'ambiente dove
si respirava la voglia di sperimentare.
Ma come un risvolto della stessa medaglia, molti aspetti
ce lo indicheranno come originale in questo panorama; i
surrealisti volevano che la pittura automatica cancellasse
il talento individuale. Mirò vedremo che non tirerà
indietro la sua persona e la sua sentimentalità mediterranea
né dai dipinti né dagli altri esperimenti
creativi. Ed anche questo per noi sarà importante
per capire il senso che può avere il suo spazio relativamente
ad una prospettiva geometrica di stampo tradizionale. Ed
è anche vero che in comune con il surrealismo c'è
un tentativo di coinvolgere direttamente lo spettatore tramite
costruzioni ed antidipinti.
Non dimentichiamo neanche la presenza dei dipinti-poesia
che sono ripresi dai "giochi" dell'ambiente surrealista,
e che rivelano la loro carica semantica relativamente ad
una lettura dei segni, ripensati, rimeditati ed estraneati.
Ecco che l'affermazione "assassinare la pittura",
si caratterizza per noi in un senso molto più preciso:
sarà un certo tipo di pittura rispetto allo spazio
a dover ascoltare il rintocco funebre della propria ora.
Incursione II
La forma precipita nel contenuto
Possiamo adesso soffermarci
sulle peculiarità della esplorazione linguistica
messa in atto da Mirò. Mirò crea dei dipinti-poesia
non soltanto nel senso che le parole si mescolano con le
linee e le superfici eteree ed abbozzate (perché
d'altronde questo avviene in pochi quadri e per breve periodo),
ma soprattutto nel senso che i suoi dipinti ad un certo
grado di maturità si fanno leggere, e si fanno leggere
non secondo una linearità, ma "giocando"
con il codice linguistico.
Quando abbiamo parlato di carica semantica per definire
il senso della parola nel dipinto, in realtà abbiamo
toccato il cuore dell'espressione nel surrealismo: la parola
può essere colta e pensata nella sua separazione
dal referente, e quindi capace di essere pensata come scrigno
colmo delle promesse di significato più attese. Allo
stesso modo si potevano liberare le forme della pittura
per generare molteplici significati, e vedremo come questo
si tradurrà in a loro volta molteplici piani spaziali,
o addirittura in perdita di senso della tridimensionalità.
Ora, se uno degli elementi che separava Mirò dal
surrealismo era l'eccessivo riferimento alla realtà
[3], la peculiarità del suo linguaggio è di
creare una nuova percezione della realtà stessa.
Se fosse l'onirico in primo piano il coinvolgimento sensoriale
non ci richiamerebbe così consciamente ad una riflessione
su forma e realtà pittorica. E' come se Mirò
tentasse una nuova forma di mimesi.
L'espressione più felice è forse quella che
ci piace mettere come titolo di questa breve incursione-escursione
priva di mappature, ossia:
"
Mirò lasciò pieno spazio al gioco
dei segni, facendo precipitare la forma nel contenuto e
investendo di significato la struttura stessa della linea"
[4].
In questa maniera Mirò assurgerebbe alla "trascendenza
poetica", alla creazione di una nuova mitologia nel
regno sovrastorico del simbolico.
Non dobbiamo dimenticare che però lo stesso Mirò
iniziava rifiutando un concetto di forma fine a sé
stessa: egli all'inizio descriveva la realtà dei
paesaggi catalani in simboli, la trasfigurava rendendo il
paesaggio archetipico. Molto ci sarà da riflettere
su questo aggettivo, ma intanto il paesaggio restava per
essere tradotto non solo sulla superficie, ma, aggiungiamo
noi, in un nuovo vortice percettivo e sensoriale nel complesso.
Nei paesaggi dipinti intorno al '18, l'attenzione al particolare
è così evidente che la storiografia artistica
classifica queste opere col nome di "dipinti particolaristi";
la realtà insomma emerge ma su un piano fondamentalmente
bidimensionale dove la congerie di simboli va letta con
la profondità che viene data dal crearsi, dal fieri
di un nuovo "repertorio iconografico". Infatti
successivamente la semplificazione-astrazione definirà
ancor meglio il linguaggio che si va proponendo, isolando
alcuni temi, dagli uccelli alle stelle, per citarne qualcuno.
Quindi Mirò ritraduce la realtà; anche quando
l'astrazione nella sua pittura sembrerà raggiungere
dei punti di non ritorno rispetto alla nostra visione, essa
manterrà il gusto del particolare che nei dipinti
paesistici balzava più all'occhio abituato alla prospettiva
classica. Infatti i cosiddetti dipinti "lenti"
esprimono esattamente questa curiosità instancabile
verso il dettaglio che è parte essenziale di un coinvolgimento
dello spettatore che non potrà più abbracciare
tutto con uno sguardo, ma dovrà scomodarsi dalla
sua comoda poltrona prospettica. Ma questo già ci
fa saltare troppo avanti.
Assestandoci un attimo con un breve passo indietro ci sembrerà
utile riflettere su di un'altra espressione che ricorre
spesso a definire uno dei lavori-manifesto di Mirò,
ossia 'La Ballerina Spagnola'.
Non dimentichiamo che su questo lavoro Mirò torna
innumerevoli volte e con tecniche differenti, dal dipinto
al collage-oggetto. Questo lavoro è certamente un
progetto di tipo surrealista, e possiamo dirlo ora che abbiamo
chiarito meglio il senso di una ricerca surrealista per
Mirò.
Infatti quest'opera non spara a zero sulla tradizione, ma
mostra come anche nella geometria classica ci fosse un peculiare
coinvolgimento, coinvolgimento che viene rimesso in discussione
proprio perché il contenuto è ancora un precipitare
sulla forma. Quando torneremo sull'idea di archetipico,
vedremo che essa non si disperde, ma che l'archetipizzazione
ha in sé anche una idea di estraneamento che è
un interrogativo sul passato.
Se lasciamo da parte quest'interrogativo e per ora ci concentriamo
sul processo formal-contenutistico vissuto da Mirò,
incontriamo quella espressione chiave che dicevamo all'inizio
per 'La Ballerina Spagnola', ossia che ci troviamo dinanzi
ad una "geometria eroticizzata"[5].
Non siamo posti in un significato dove la forma e lo stesso
materiale di scarto vario assorbono l'emozione ed il coinvolgimento?
La forma non è precipitata nel contenuto, come le
linee ed i punti hanno assunto il coinvolgimento sensuale
dello sguardo che ripercorre le curve della ballerina che
ondeggia sensualmente?
Qui è la superficie stessa ad essere assaltata; andiamo
oltre la pur presente provocazione anti-cubista. Siamo sulla
strada di quella antipittoricità che si riallaccia
alla riflessione epistemologica che impone e offre imponendo,
una diversa lettura della pittura e del suo spazio per spettatori.
I materiali di scarto allo stesso modo, non sono solo provocazione,
ma sono alterazione della superficie, alterazione della
mimesi, come le tele stracciate, veramente stracciate, o
illusoriamente bucate e bruciate
che fine ha fatto
l'illusione? E che legittimità ha un nuovo codice
iconografico che rimette in discussione la mimesi tradizionale
con un nuovo progetto globale di coinvolgimento nel mondo?
[6]
Ogni materiale crea un suo spazio che si giustappone o si
integra all'altro sulla base del contenuto che quella forma
richiama con la carica semantico-sentimentale che si porta
dietro; una carica che nella eroticizzazione della geometria
diventa anche tattile.
Con l'adombrare questa idea di tattilità che le superfici
hanno portato alla ribalta, abbiamo lanciato consapevolmente
una sonda esplorativa verso il concetto di geometria prospettica
tradizionale. Soltanto comprendendone il senso se ne potrà
sottolineare il non-senso; o meglio, solo scavando in ciò
che meta-pittoricamente significa, potremo esplorare un
linguaggio di rottura consapevole ed autosufficiente quale
quello di Mirò. E così collocheremo meglio
la direttrice di influenza che un ambiente quale quello
surrealista può assumere sul mondo figurativo di
Mirò.
[1] M. RAGOZZINO, MIRO', 2000, Firenze,
Giunti editore. Vd. p.12 a proposito del surrealismo: "
il
gruppo si è dato il compito di fondare una nuova
tradizione letteraria aprendo all'innovazione- sia estetica
che politica- proprio a partire dal recupero di una parte
della tradizione poetica passata. Anche l'avanguardia dunque,
massima espressione della rottura del moderno, intende dunque
richiamarsi esplicitamente alla tradizione: non nega il
passato la cui conoscenza è imprescindibile per costruire
un nuovo, autentico ed innovatore linguaggio del presente".
Più avanti esperiremo il valore molto pregnante da
un punto di vista semantico del rapporto-confronto con la
tradizione non solo per la immediata resa artistica, ma
anche per le riflessioni di più ampio respiro cui
ci porta.
[2] Ivi, p.35-36. Queste pagine verranno riprese a proposito
della questione epistemologica della visione, che non resterà
mai astratta ma si concretizzerà in problemi di tecnica
che in Mirò saranno relativi al suo linguaggio particolare.
Sin qui è sufficiente sapere dell'influenza che su
tale ricerca hanno i surrealisti con il loro massimo teorizzatore
che fu Andrè Breton; infatti Breton meditò
sul ruolo dell'occhio dell'artista.
[3] R. LUBAR-C. GREEN, MIRO', 1999, Firenze, Giunti editore.
Cfr. p.30, dove viene acutamente posta la questione della
relazione tra l'automatismo come sogno impossibile dell'arte
surrealista, e l'attaccamento al reale ( dal sapore mediterraneo
mai sommerso, oseremmo dire noi) che non abbandona mai Mirò.
L'estro di Mirò è un nuovo modo di codificare
uno spazio in cui siamo immersi, non solo uno spazio dei
sogni; l'onirico diventerà il primitivo, non una
semplice fantasia. Questo è essenziale e lo sarà
sempre di più di qui in avanti.
[4] Ivi, p.23. Questo punto è imprescindibile per
approfondire la tesi che cerca di capire il nuovo spazio
in rapporto ad una riflessione sulla pittoricità
posta dai surrealisti.
D'altra parte se la forma precipita nel contenuto significa
che come mezzo si carica di una sfida interpretativa lanciata
in maniera inequivocabile su chi voglia riflettere sulla
pittura e il suo spazio.
[5] Ivi, p.26.
[6] La questione si pone con enigmatica e sconvolgente lucidità
in Magritte, che ci fornisce una logia dell'illogico della
visione.
Cfr. G. CORTENOVA, MAGRITTE, 1996, Firenze, Giunti editore.
In particolare cfr. pp. 14-15, 27, 30. D'altronde il tema
della superficie pittorica colpisce nel quadro-icona "La
condizione umana": qual è la verità,
qual è l'illusione?, questo è l'interrogativo
che il quadro pone. Ugualmente immergendoci nella pittura-linguaggio
di Mirò saremo costretti alla fine a chiederci se
la prospettiva non è una illusione o meglio una costruzione
in cui per lungo tempo ci siamo cullati e crogiolati.
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