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GIUSEPPE MARCONE "MIRO': Appunti delocalizzati a proposito di una nuova medialità aprospettica degli spazi"

 

G. Marcone, "Mirò: Appunti delocalizzati a proposito di una nuova medialità aprospettica degli spazi"
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. Incursione I: La tradizione. Il Linguaggio. Incursione II: La forma precipita nel contenuto", in "XÁOS. Giornale di confine", Anno II, N.1 Marzo-Giugno 2003, URL: http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_1/19.htm

 

Le prime due incursioni costituiscono la prima parte di un percorso di scavo estetico in tre momenti, che mira a riflettere esteticamente sullo spazio, tentando di aprire orizzonti di senso nella percezione della dimensione spaziale a partire da Mirò e oltre il moderno.
Tali due incursioni partono dal rapporto di Mirò con il linguaggio tradizionale ed il surrealismo come estraniazione; lo legano ai problemi della visione e a partire dalla seconda incursione il discorso si disloca nella questione contenuto- forma. Una strada al limite si è aperta.

Una Introduzione

Il breve articolo si presenta come escursione- incursione sul tema della nuova medialità dello spazio e della sua potenza in una concezione dinamica, estesa, nervosa della estetica. L'estetica come studio dell'umano coinvolgimento sensoriale squarcia il velo del classico tema apparenza/ realtà, uno dei più grandi crucci della storia della filosofia, disperdendo e frantumando le classiche mappe sensoriali di cui la geometria classica prospettica è il più tipico, esemplare, ed in quanto tale da analizzare, caso, quasi una summa.
Tali appunti si autodefiniscono e vengono scritti sulla base di questa convinzione aprospettica, antielitaria e antipurista dell'estetica propria di chi li ha scritti, e sono una parte appunto non mappabile, delocalizzata, di un discorso che in quanto incursione, nel mondo della pittura surrealista di Mirò, dell'architettura di Moneo che gli ha dedicato l'edificio, nell'intreccio con le idee mediali di McLuhan, è al tempo stesso escursione teorica applicata nel processo di estetizzazione della vita quotidiana, dove coscienza sensoriale non è più necessaria per una fruizione artistica, ma per una difesa nell'oltre-corte, nell'oltre-agorà dell'esteso sistema nervoso del richiamo ad uno smarrimento creativa. Escursione perché si intravedono tutta una serie di temi che arrivano a toccare la storia e di cui altrove chi scrive si è occupato, ad esempio la relazione tra utopia, rottura artistica, e totalitarismi, nel rapporto tra prospettiva neutrale e follia….
L'incursione si sviluppa partendo dal rapporto tra la ricerca surrealista e la tradizione, rapporto ambiguo ma di sostanziale approdo a nuove forme spaziali. Dopo avere posto attenzione allo strumento della visione ci si addentra con attenzione nel linguaggio del pittore catalano Mirò, nella sua originalità, nel coinvolgimento creativo dei sensi non mai astratto ma legato alla propria sentimentalità.
Attraverso notazioni sui dipinti si giunge all'idea nuova di uno spettatore scomodato dalla poltrona prospettica, capace di interrogarsi e rimeravigliarsi della realtà percettiva che lo circonda. Si passa alla sub- questione epistemologica, inconscia interrogazione sulle fonti della sensorialità tanto coinvolta, passo verso la coscienza filosofica della difesa estetica.
Questa ricerca di senso ci porta a leggere con i sensi la richiesta di uno spazio, la nuova richiesta antilineare di spazio nell'oltre- museo.
E infine usciamo a veder le stelle, ultima escursione nell'incursione, consapevoli di uno smarrimento oltre-donchisciottesco nell'estetica come innamorati terreni, tutti.

Incursione I

La Tradizione

La possibilità di mettere in discussione il concetto di spazio e di prospettiva nella iconografia di Mirò, deve necessariamente intrecciarsi con la discussione sulla ricerca contenutistica e soprattutto formale che molte correnti surrealiste cercano di mettere in atto.
Tenderemo ad indicare le peculiarità assolute che comunque Mirò riveste rispetto ad ogni gioco di "corrente" artistica: infatti l'evoluzione del pittore catalano ci regala un terreno privilegiato per la comprensione di una dimensione spaziale che si evolve come risposta personale alle nuove esigenze di pittura.
Saranno d'altra parte proprio le considerazioni sullo spazio centrali per un fecondo allacciamento al discorso architettonico, dove la geometria distrutta delle prospettive di Mirò si dovrà inserire in un contesto nel quale l'ambizione massima sarà la resa di una tridimensionalità ispirata alla fondamentale bidimensionalità pittorica della pittura dell'artista catalano.
Come mostra-museo l'edificio di Moneo deve permettere un percorso attraverso la pittura che porti l'osservatore a comprenderne la nuova carica spaziale e formale che ne costituisce il massimo tratto espressivo. La architettura sarà chiaramente costretta a ripensare la sua stessa geometricità; il problema si moltiplicherà e chiarirà esponenzialmente quando considereremo il rapporto con l'ambiente esterno in una sorta di rapporto controambientale, rapporto necessario in quanto nessuna struttura architettonica può valere come astrazione da un contesto urbanistico e più sostanzialmente ambientale.
Partiamo con il dire che astrazione non è possibile fare nemmeno per la succitata ricerca formale-linguistica surrealista. Gli artisti del gruppo in senso largo, si proponevano una ricerca che se da un lato sarebbe stata di rottura, al tempo stesso calava la loro capacità ideativa in un contesto di tradizione mai dimenticato ed importante da possedere [1].
Il raggiungimento di una nuova conoscenza non può edificarsi semplicemente sulle fumanti macerie; quindi nemmeno potremo aspettarci che ciò avvenga sulle fumanti macerie della geometria prospettica. La tradizione sarà inserita in un processo globale nuovo, in cui il codice logico a priori non avrà ragione di essere. La volontà di creare lo spazio della surrealtà certo approda a varie soluzioni: ad esempio pensiamo alle soluzione pittoriche tecnicamente tradizionali di Yves Tanguy, le quali però confluiscono nella formazione di uno spazio psicanalitico, dove la mimesi della natura resta un residuo incomprensibile (lo schema prospettico resta, come in Magritte, abbastanza tradizionale pur nell'allontanamento dal reale) .
Questo è solo la punta di un fenomeno di attraversamento del fiume della tradizione da parte della prospettiva classica verso nuove forme spaziali. A questo proposito una grande enciclopedia di riflessione linguistica ci è offerta da Magritte; non ci interessa se poterlo classificare surrealista o meno, perché la potenza della sua riflessione antipittorica e meta-pittorica ci mette in contatto con i problemi della visione e del suo sistema logico. Ma bisognerà tornare sul problema epistemologico.


Il Linguaggio

Il surrealismo in pittura come in poesia si proponeva di sconvolgere la funzione meramente comunicativa del linguaggio come strumento, lo strumento della visione, e quindi anche l'andamento prospettico doveva essere messo in un processo di sconvolgimento metamorfico che sarebbe stata il trampolino di lancio per l'edificazione pittorica di un nuovo spazio.
Noi ritroviamo fin qui Mirò; ma ne vediamo la peculiarità oltre, ossia nel linguaggio personale che prova a creare.
La tecnica tradizionale comincia a vorticare nelle deformanti metamorfosi come nei quadri di Masson.
Il concetto stesso di sperimentazione che anima la ricerca surrealista, e che certamente animerà Mirò, si relaziona alla riflessione sull'assenza di un unico punto di vista [2].
Se Magritte ha privilegiato quest'ambito di riflessione sulla visione, altri come Ernst e soprattutto Mirò hanno caricato di nuovo senso le forme ed i loro spazi.
Si crea un processo autonomo di evoluzione delle forme che risponde ad una esigenza artistico-creativa fondamentale per i liberi spazi che cercherà di trovare e diradare.
Mirò allora è certo legato all'avanguardia per questa tensione creativa, già dagli esordi quando non si tira indietro dinanzi al dibattito che nell'avanguardia stessa nasce, sulla identità della mediterranea cultura catalana. Il suo stesso proposito di assassinare la pittura lo lancia a piena velocità in quell'ambiente dove si respirava la voglia di sperimentare.
Ma come un risvolto della stessa medaglia, molti aspetti ce lo indicheranno come originale in questo panorama; i surrealisti volevano che la pittura automatica cancellasse il talento individuale. Mirò vedremo che non tirerà indietro la sua persona e la sua sentimentalità mediterranea né dai dipinti né dagli altri esperimenti creativi. Ed anche questo per noi sarà importante per capire il senso che può avere il suo spazio relativamente ad una prospettiva geometrica di stampo tradizionale. Ed è anche vero che in comune con il surrealismo c'è un tentativo di coinvolgere direttamente lo spettatore tramite costruzioni ed antidipinti.
Non dimentichiamo neanche la presenza dei dipinti-poesia che sono ripresi dai "giochi" dell'ambiente surrealista, e che rivelano la loro carica semantica relativamente ad una lettura dei segni, ripensati, rimeditati ed estraneati.
Ecco che l'affermazione "assassinare la pittura", si caratterizza per noi in un senso molto più preciso: sarà un certo tipo di pittura rispetto allo spazio a dover ascoltare il rintocco funebre della propria ora.

Incursione II

La forma precipita nel contenuto

Possiamo adesso soffermarci sulle peculiarità della esplorazione linguistica messa in atto da Mirò. Mirò crea dei dipinti-poesia non soltanto nel senso che le parole si mescolano con le linee e le superfici eteree ed abbozzate (perché d'altronde questo avviene in pochi quadri e per breve periodo), ma soprattutto nel senso che i suoi dipinti ad un certo grado di maturità si fanno leggere, e si fanno leggere non secondo una linearità, ma "giocando" con il codice linguistico.
Quando abbiamo parlato di carica semantica per definire il senso della parola nel dipinto, in realtà abbiamo toccato il cuore dell'espressione nel surrealismo: la parola può essere colta e pensata nella sua separazione dal referente, e quindi capace di essere pensata come scrigno colmo delle promesse di significato più attese. Allo stesso modo si potevano liberare le forme della pittura per generare molteplici significati, e vedremo come questo si tradurrà in a loro volta molteplici piani spaziali, o addirittura in perdita di senso della tridimensionalità.
Ora, se uno degli elementi che separava Mirò dal surrealismo era l'eccessivo riferimento alla realtà [3], la peculiarità del suo linguaggio è di creare una nuova percezione della realtà stessa. Se fosse l'onirico in primo piano il coinvolgimento sensoriale non ci richiamerebbe così consciamente ad una riflessione su forma e realtà pittorica. E' come se Mirò tentasse una nuova forma di mimesi.
L'espressione più felice è forse quella che ci piace mettere come titolo di questa breve incursione-escursione priva di mappature, ossia:
" …Mirò lasciò pieno spazio al gioco dei segni, facendo precipitare la forma nel contenuto e investendo di significato la struttura stessa della linea" [4].
In questa maniera Mirò assurgerebbe alla "trascendenza poetica", alla creazione di una nuova mitologia nel regno sovrastorico del simbolico.
Non dobbiamo dimenticare che però lo stesso Mirò iniziava rifiutando un concetto di forma fine a sé stessa: egli all'inizio descriveva la realtà dei paesaggi catalani in simboli, la trasfigurava rendendo il paesaggio archetipico. Molto ci sarà da riflettere su questo aggettivo, ma intanto il paesaggio restava per essere tradotto non solo sulla superficie, ma, aggiungiamo noi, in un nuovo vortice percettivo e sensoriale nel complesso.
Nei paesaggi dipinti intorno al '18, l'attenzione al particolare è così evidente che la storiografia artistica classifica queste opere col nome di "dipinti particolaristi"; la realtà insomma emerge ma su un piano fondamentalmente bidimensionale dove la congerie di simboli va letta con la profondità che viene data dal crearsi, dal fieri di un nuovo "repertorio iconografico". Infatti successivamente la semplificazione-astrazione definirà ancor meglio il linguaggio che si va proponendo, isolando alcuni temi, dagli uccelli alle stelle, per citarne qualcuno.
Quindi Mirò ritraduce la realtà; anche quando l'astrazione nella sua pittura sembrerà raggiungere dei punti di non ritorno rispetto alla nostra visione, essa manterrà il gusto del particolare che nei dipinti paesistici balzava più all'occhio abituato alla prospettiva classica. Infatti i cosiddetti dipinti "lenti" esprimono esattamente questa curiosità instancabile verso il dettaglio che è parte essenziale di un coinvolgimento dello spettatore che non potrà più abbracciare tutto con uno sguardo, ma dovrà scomodarsi dalla sua comoda poltrona prospettica. Ma questo già ci fa saltare troppo avanti.
Assestandoci un attimo con un breve passo indietro ci sembrerà utile riflettere su di un'altra espressione che ricorre spesso a definire uno dei lavori-manifesto di Mirò, ossia 'La Ballerina Spagnola'.
Non dimentichiamo che su questo lavoro Mirò torna innumerevoli volte e con tecniche differenti, dal dipinto al collage-oggetto. Questo lavoro è certamente un progetto di tipo surrealista, e possiamo dirlo ora che abbiamo chiarito meglio il senso di una ricerca surrealista per Mirò.
Infatti quest'opera non spara a zero sulla tradizione, ma mostra come anche nella geometria classica ci fosse un peculiare coinvolgimento, coinvolgimento che viene rimesso in discussione proprio perché il contenuto è ancora un precipitare sulla forma. Quando torneremo sull'idea di archetipico, vedremo che essa non si disperde, ma che l'archetipizzazione ha in sé anche una idea di estraneamento che è un interrogativo sul passato.
Se lasciamo da parte quest'interrogativo e per ora ci concentriamo sul processo formal-contenutistico vissuto da Mirò, incontriamo quella espressione chiave che dicevamo all'inizio per 'La Ballerina Spagnola', ossia che ci troviamo dinanzi ad una "geometria eroticizzata"[5].
Non siamo posti in un significato dove la forma e lo stesso materiale di scarto vario assorbono l'emozione ed il coinvolgimento?
La forma non è precipitata nel contenuto, come le linee ed i punti hanno assunto il coinvolgimento sensuale dello sguardo che ripercorre le curve della ballerina che ondeggia sensualmente?
Qui è la superficie stessa ad essere assaltata; andiamo oltre la pur presente provocazione anti-cubista. Siamo sulla strada di quella antipittoricità che si riallaccia alla riflessione epistemologica che impone e offre imponendo, una diversa lettura della pittura e del suo spazio per spettatori.
I materiali di scarto allo stesso modo, non sono solo provocazione, ma sono alterazione della superficie, alterazione della mimesi, come le tele stracciate, veramente stracciate, o illusoriamente bucate e bruciate…che fine ha fatto l'illusione? E che legittimità ha un nuovo codice iconografico che rimette in discussione la mimesi tradizionale con un nuovo progetto globale di coinvolgimento nel mondo? [6]
Ogni materiale crea un suo spazio che si giustappone o si integra all'altro sulla base del contenuto che quella forma richiama con la carica semantico-sentimentale che si porta dietro; una carica che nella eroticizzazione della geometria diventa anche tattile.
Con l'adombrare questa idea di tattilità che le superfici hanno portato alla ribalta, abbiamo lanciato consapevolmente una sonda esplorativa verso il concetto di geometria prospettica tradizionale. Soltanto comprendendone il senso se ne potrà sottolineare il non-senso; o meglio, solo scavando in ciò che meta-pittoricamente significa, potremo esplorare un linguaggio di rottura consapevole ed autosufficiente quale quello di Mirò. E così collocheremo meglio la direttrice di influenza che un ambiente quale quello surrealista può assumere sul mondo figurativo di Mirò.




[1] M. RAGOZZINO, MIRO', 2000, Firenze, Giunti editore. Vd. p.12 a proposito del surrealismo: "…il gruppo si è dato il compito di fondare una nuova tradizione letteraria aprendo all'innovazione- sia estetica che politica- proprio a partire dal recupero di una parte della tradizione poetica passata. Anche l'avanguardia dunque, massima espressione della rottura del moderno, intende dunque richiamarsi esplicitamente alla tradizione: non nega il passato la cui conoscenza è imprescindibile per costruire un nuovo, autentico ed innovatore linguaggio del presente". Più avanti esperiremo il valore molto pregnante da un punto di vista semantico del rapporto-confronto con la tradizione non solo per la immediata resa artistica, ma anche per le riflessioni di più ampio respiro cui ci porta.
[2] Ivi, p.35-36. Queste pagine verranno riprese a proposito della questione epistemologica della visione, che non resterà mai astratta ma si concretizzerà in problemi di tecnica che in Mirò saranno relativi al suo linguaggio particolare. Sin qui è sufficiente sapere dell'influenza che su tale ricerca hanno i surrealisti con il loro massimo teorizzatore che fu Andrè Breton; infatti Breton meditò sul ruolo dell'occhio dell'artista.
[3] R. LUBAR-C. GREEN, MIRO', 1999, Firenze, Giunti editore. Cfr. p.30, dove viene acutamente posta la questione della relazione tra l'automatismo come sogno impossibile dell'arte surrealista, e l'attaccamento al reale ( dal sapore mediterraneo mai sommerso, oseremmo dire noi) che non abbandona mai Mirò. L'estro di Mirò è un nuovo modo di codificare uno spazio in cui siamo immersi, non solo uno spazio dei sogni; l'onirico diventerà il primitivo, non una semplice fantasia. Questo è essenziale e lo sarà sempre di più di qui in avanti.
[4] Ivi, p.23. Questo punto è imprescindibile per approfondire la tesi che cerca di capire il nuovo spazio in rapporto ad una riflessione sulla pittoricità posta dai surrealisti.
D'altra parte se la forma precipita nel contenuto significa che come mezzo si carica di una sfida interpretativa lanciata in maniera inequivocabile su chi voglia riflettere sulla pittura e il suo spazio.
[5]
Ivi, p.26.
[6] La questione si pone con enigmatica e sconvolgente lucidità in Magritte, che ci fornisce una logia dell'illogico della visione.
Cfr. G. CORTENOVA, MAGRITTE, 1996, Firenze, Giunti editore. In particolare cfr. pp. 14-15, 27, 30. D'altronde il tema della superficie pittorica colpisce nel quadro-icona "La condizione umana": qual è la verità, qual è l'illusione?, questo è l'interrogativo che il quadro pone. Ugualmente immergendoci nella pittura-linguaggio di Mirò saremo costretti alla fine a chiederci se la prospettiva non è una illusione o meglio una costruzione in cui per lungo tempo ci siamo cullati e crogiolati.