SETTE ROSSO
di Gianluca Ara
Fu cosi' che incominciai
a smettere di fumare.
Spensi quell'ultima sigaretta schiacciandola forte in terra
col piede. Un gesto definitivo, senza appello.
Contavo gia' i minuti. Quell'autobus non passava.
"Frequenza estiva 8 minuti".
Erano gia' passati?
Sicuramente si.
Mediamente fumavo quattro pacchetti di sigarette al giorno.
Neanche una offerta. Ottanta in dodici ore attive, dodici
per sessanta fanno settecentoventi minuti. Settecentoventi
diviso ottanta fa nove minuti.
Una ogni nove minuti.
Percio' dall'ultima sigaretta erano passati almeno nove
minuti. Protesterò.
Quattro quattro due quattro otto sei. Per servirvi meglio,
reclami o consigli.
Reclamo, non rispettate i tempi. Si, li chiamo.
Sono solo. Solo a una fermata di un autobus che porta diritto
al mare, il quindici di luglio.
"Setter rosso fermata la pineta, non c'e' da sbagliare".
Questo mi ha detto l'edicolante.
Biglietto serie AK due nove quattro sei zero. Lire cento
milioni premio di consolazione. Magari. Invece lire millecinquecento,
validita' un'ora. Si, ma all'andata non lo timbro. Se vado,
pero'.
AE zero cinque HK. Stronzo, ha fatto finta di non vedermi.
Passera'.
Frequenza invernale 5 minuti.
Frequenza estiva 8 minuti.
Sette rosso fermata la pineta.
Linee in coincidenza 5 e 3.
Eccolo, lo sapevo.
No, numero bianco. Mi giro per non guardare l'autista. Si
ferma lo stesso, cosa vuole? Riparte, meno male.
Ho compagnia, meno male.
- Anche lei il sette rosso?
- No.
- Io si, e' che non passa.
- Son qui da un quarto d'ora, lo sa?
- Si dovrebbe protestare. Guardi, c'e' il numero. Si puo'
chiamare, vede?
- Io ho la macchina, e' che non conviene. Lei ce l'ha?
- No.
- Certo che fa caldo.
- Io vado al mare, e lei?
- No.
- Infatti.
- Fuma?
- No grazie.
- Sette rosso. Eccolo che arriva.
- Accidenti, numero bianco, e' il suo. Prenda la sigaretta,
se vuole fumare dopo.
- No grazie, non fumo.
"Sette rosso, fermata soppressa".
Accendo la mia ultima sigaretta, e torno a casa. A telefonare,
mica per altro, quattro quattro due, quattro otto sei.
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PEPPE FELIZZIU
di Rosalinda Balia
Peppe Felizziu era figlio di gente ricca, della Gallura
vicina. C'avevano terre stese al sole e un sacco di capre
al pascolo, ma certo, certe disgrazie...
Ci ha lavorato tanto tempo un cugino di mia nonna, un bel
ragazzo che ha seminato occhi grigi negli stazzi.
Quando Peppe scendeva in paese, nei giorni di mercato, era
festa per i bambini, che a volte lo andavano ad aspettare
sino al fiume, per inseguirlo facendogli il verso e tirandogli
le trecce.
Peppe Felizziu era giovane negli anni '20, ed era un travestito.
La madre aveva cercato in ogni modo, si era rivolta alle
più alte gerarchie ecclesiastiche per avere la grazia,
e il padre aveva scelto le servette più belle, per
ficcarle nel suo letto, ma lui lasciava crescere i capelli
sulle spalle, e li raccoglieva a crocchia sulla nuca, nei
giorni di festa, e rubava le gonne delle serve stese ad
asciugare, e la mattina era il primo ad alzarsi, per fare
il pane.
Peppe Felizziu, abiti da donna, volto deforme e lingua legata,
era muto - da uno spavento, dicono-, e urlava mugugni insopportabili
e lamenti che squarciavano il petto, quando vedeva ritornare
nella pinnetta, ormai all'alba, il servo pastore, occhi
grigi spalle larghe e mani forti, di cui era innamorato,
che chissà con chi era stato. Urlava il suo dolore
di corpo sbagliato, animale innamorato.
Quando lo chiamarono per la visita militare fu il padre
ad accompagnarlo sino ad Ozieri, la vergogna in groppa al
suo cavallo. Dicono che i medici lo guardarono con schifo
e stupore. Non era certo il caso di fargli fare il soldato.
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TEMPO
di Leone Laria
Ci chiedevamo quando sarebbe finito. Intanto le serate
passavano tra passatempi tranquilli, conversazioni, amenità.
Di tanto in tanto una danzatrice ci allietava con qualche
passo, facendo ondeggiare volute d'incenso. Un tocco di
liuto, uno sfiorare le pelli dei tamburi, un tintinnare
di cimbali.
Capitava d'interrompersi a metà d'una frase, colti
da un dubbio, "ma questo non l'abbiamo già detto
ieri?", o l'altro ieri, o un mese fa
Non si riusciva
mai a trovare una risposta, così si finiva per continuare
a parlare, forse lo stesso discorso di tutti i giorni.
Non eravamo certo aiutati dalla luce costante che pervadeva
la stanza. Quei fuochi, lo sapevamo per certo, non potevano
esser lasciati estinguere, tutto il mondo sarebbe svanito
con essi, inghiottito nel buio della loro scomparsa. Qualcuno
tra noi cominciava a dubitare di aver mai conosciuto un
tempo nel quale alla luce si avvicendasse il buio, il significato
di "giorno" e "notte" iniziava a sfuggirci.
A volte per ingannare l'attesa vestivamo qualcuna delle
numerose statue che affollavano le stanze, e immaginavamo
di farle interagire. Simulavamo dialoghi, relazioni, simpatie
ed antipatie, finimmo col dar vita a tutto un cosmo, e le
loro storie riempivano il nostro tempo. Aspettavamo con
ansia il momento in cui ci saremmo rimessi a giocare. Nel
frattempo alcuni di noi si prendevano la briga di metter
per iscritto le storie dei personaggi e quello che di volta
in volta succedeva, ormai troppo per esser mandato a memoria;
succedeva poi che alcuni di noi parteggiassero per questo
o per quell'altro, e per evitare scorrettezze o falsità
fu necessario nominare dei giudici delle loro vicende. Le
statue dei personaggi che s'erano macchiati di qualche colpa
venivano escluse dal gioco per un certo tempo, proporzionato
alla pena, durante il quale nessuno le vestiva e restavano
mute.
Alcuni tra noi si "specializzarono", assunsero
il ruolo di notai, per verificare che nelle azioni immaginate,
o nei dialoghi, non si verificasse nulla che contraddicesse
quanto era stato scritto. Alcuni divennero particolarmente
esperti ed i notai li consultavano nelle loro verifiche.
Ma pian piano le antipatie tra i personaggi divennero odî,
e le simpatie amori, e quelli rendevano spiacevole lo svolgersi
della vicenda, questi lo rendevano invece poco gratificante,
poiché un amore non può vivere di sole parole
e i personaggi della storia disponevano unicamente del corpo
algido delle statue. Così pian piano il gioco si
estinse; per qualche tempo alcuni si dilettavano nel sentir
narrare gli episodi salienti e più entusiasmanti,
alcuni raccontatori erano davvero bravi e questo ci teneva
in qualche modo occupati. Ma anche la loro vena col tempo
si esaurì.
Continuiamo a chiederci quando finirà, nell'attesa
discorriamo di argomenti già affrontati e il tempo
passa molto piano.
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