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GIOCHI E PAROLE

 

"GIOCHI E PAROLE", XÁOS. Giornale di confine, Anno II, N.1 Marzo-Giugno 2003, URL: http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_1/18.htm

Hanno scritto: Fianluca Ara, Rosalinda Balia, Leone Laria

SETTE ROSSO
di Gianluca Ara

Fu cosi' che incominciai a smettere di fumare.
Spensi quell'ultima sigaretta schiacciandola forte in terra col piede. Un gesto definitivo, senza appello.

Contavo gia' i minuti. Quell'autobus non passava.
"Frequenza estiva 8 minuti".
Erano gia' passati?
Sicuramente si.
Mediamente fumavo quattro pacchetti di sigarette al giorno. Neanche una offerta. Ottanta in dodici ore attive, dodici per sessanta fanno settecentoventi minuti. Settecentoventi diviso ottanta fa nove minuti.
Una ogni nove minuti.
Percio' dall'ultima sigaretta erano passati almeno nove minuti. Protesterò.
Quattro quattro due quattro otto sei. Per servirvi meglio, reclami o consigli.
Reclamo, non rispettate i tempi. Si, li chiamo.

Sono solo. Solo a una fermata di un autobus che porta diritto al mare, il quindici di luglio.
"Setter rosso fermata la pineta, non c'e' da sbagliare". Questo mi ha detto l'edicolante.
Biglietto serie AK due nove quattro sei zero. Lire cento milioni premio di consolazione. Magari. Invece lire millecinquecento, validita' un'ora. Si, ma all'andata non lo timbro. Se vado, pero'.
AE zero cinque HK. Stronzo, ha fatto finta di non vedermi.

Passera'.
Frequenza invernale 5 minuti.
Frequenza estiva 8 minuti.
Sette rosso fermata la pineta.
Linee in coincidenza 5 e 3.

Eccolo, lo sapevo.
No, numero bianco. Mi giro per non guardare l'autista. Si ferma lo stesso, cosa vuole? Riparte, meno male.
Ho compagnia, meno male.

- Anche lei il sette rosso?
- No.
- Io si, e' che non passa.

- Son qui da un quarto d'ora, lo sa?
- Si dovrebbe protestare. Guardi, c'e' il numero. Si puo' chiamare, vede?

- Io ho la macchina, e' che non conviene. Lei ce l'ha?
- No.

- Certo che fa caldo.
- Io vado al mare, e lei?
- No.
- Infatti.

- Fuma?
- No grazie.

- Sette rosso. Eccolo che arriva.

- Accidenti, numero bianco, e' il suo. Prenda la sigaretta, se vuole fumare dopo.
- No grazie, non fumo.

"Sette rosso, fermata soppressa".
Accendo la mia ultima sigaretta, e torno a casa. A telefonare, mica per altro, quattro quattro due, quattro otto sei.

 

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PEPPE FELIZZIU
di Rosalinda Balia

Peppe Felizziu era figlio di gente ricca, della Gallura vicina. C'avevano terre stese al sole e un sacco di capre al pascolo, ma certo, certe disgrazie...
Ci ha lavorato tanto tempo un cugino di mia nonna, un bel ragazzo che ha seminato occhi grigi negli stazzi.
Quando Peppe scendeva in paese, nei giorni di mercato, era festa per i bambini, che a volte lo andavano ad aspettare sino al fiume, per inseguirlo facendogli il verso e tirandogli le trecce.
Peppe Felizziu era giovane negli anni '20, ed era un travestito.
La madre aveva cercato in ogni modo, si era rivolta alle più alte gerarchie ecclesiastiche per avere la grazia, e il padre aveva scelto le servette più belle, per ficcarle nel suo letto, ma lui lasciava crescere i capelli sulle spalle, e li raccoglieva a crocchia sulla nuca, nei giorni di festa, e rubava le gonne delle serve stese ad asciugare, e la mattina era il primo ad alzarsi, per fare il pane.
Peppe Felizziu, abiti da donna, volto deforme e lingua legata, era muto - da uno spavento, dicono-, e urlava mugugni insopportabili e lamenti che squarciavano il petto, quando vedeva ritornare nella pinnetta, ormai all'alba, il servo pastore, occhi grigi spalle larghe e mani forti, di cui era innamorato, che chissà con chi era stato. Urlava il suo dolore di corpo sbagliato, animale innamorato.
Quando lo chiamarono per la visita militare fu il padre ad accompagnarlo sino ad Ozieri, la vergogna in groppa al suo cavallo. Dicono che i medici lo guardarono con schifo e stupore. Non era certo il caso di fargli fare il soldato.

 

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TEMPO
di Leone Laria

Ci chiedevamo quando sarebbe finito. Intanto le serate passavano tra passatempi tranquilli, conversazioni, amenità. Di tanto in tanto una danzatrice ci allietava con qualche passo, facendo ondeggiare volute d'incenso. Un tocco di liuto, uno sfiorare le pelli dei tamburi, un tintinnare di cimbali.
Capitava d'interrompersi a metà d'una frase, colti da un dubbio, "ma questo non l'abbiamo già detto ieri?", o l'altro ieri, o un mese fa… Non si riusciva mai a trovare una risposta, così si finiva per continuare a parlare, forse lo stesso discorso di tutti i giorni.
Non eravamo certo aiutati dalla luce costante che pervadeva la stanza. Quei fuochi, lo sapevamo per certo, non potevano esser lasciati estinguere, tutto il mondo sarebbe svanito con essi, inghiottito nel buio della loro scomparsa. Qualcuno tra noi cominciava a dubitare di aver mai conosciuto un tempo nel quale alla luce si avvicendasse il buio, il significato di "giorno" e "notte" iniziava a sfuggirci.
A volte per ingannare l'attesa vestivamo qualcuna delle numerose statue che affollavano le stanze, e immaginavamo di farle interagire. Simulavamo dialoghi, relazioni, simpatie ed antipatie, finimmo col dar vita a tutto un cosmo, e le loro storie riempivano il nostro tempo. Aspettavamo con ansia il momento in cui ci saremmo rimessi a giocare. Nel frattempo alcuni di noi si prendevano la briga di metter per iscritto le storie dei personaggi e quello che di volta in volta succedeva, ormai troppo per esser mandato a memoria; succedeva poi che alcuni di noi parteggiassero per questo o per quell'altro, e per evitare scorrettezze o falsità fu necessario nominare dei giudici delle loro vicende. Le statue dei personaggi che s'erano macchiati di qualche colpa venivano escluse dal gioco per un certo tempo, proporzionato alla pena, durante il quale nessuno le vestiva e restavano mute.
Alcuni tra noi si "specializzarono", assunsero il ruolo di notai, per verificare che nelle azioni immaginate, o nei dialoghi, non si verificasse nulla che contraddicesse quanto era stato scritto. Alcuni divennero particolarmente esperti ed i notai li consultavano nelle loro verifiche.
Ma pian piano le antipatie tra i personaggi divennero odî, e le simpatie amori, e quelli rendevano spiacevole lo svolgersi della vicenda, questi lo rendevano invece poco gratificante, poiché un amore non può vivere di sole parole e i personaggi della storia disponevano unicamente del corpo algido delle statue. Così pian piano il gioco si estinse; per qualche tempo alcuni si dilettavano nel sentir narrare gli episodi salienti e più entusiasmanti, alcuni raccontatori erano davvero bravi e questo ci teneva in qualche modo occupati. Ma anche la loro vena col tempo si esaurì.
Continuiamo a chiederci quando finirà, nell'attesa discorriamo di argomenti già affrontati e il tempo passa molto piano.