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ANDREA TAGLIAPIETRA
La filosofia, prima di ogni altra definizione
dotta, è amore per la realtà.
In ricordo di
Italo Valent
Per Italo Valent fare filosofia
era come partecipare a una festa. La festa dei filosofi
è la festa del pensiero. Oggi che, dopo una fulminea
e implacabile malattia, in una sera di febbraio, Italo ci
ha lasciati, questa festa continua e lui sarà sempre
tra gli invitati più cari, in un posto di riguardo,
ma discreto e modesto, com'era nella sua natura. Un discutibile
adagio della tradizione filosofica occidentale, che solo
obliquamente possiamo attribuire alla responsabilità
di Aristotele, recita "amicus Plato sed magis amica
veritas". Ma tra la vera amicizia e l'amicizia per
la verità non c'è contrasto e il nome della
filosofia ha bisogno, nel suo impasto originale, sia di
questa che di quella. E intorno alla festa dell'amicizia
e della filosofia verte anche il contributo che Italo Valent,
già malato e con la lucida consapevolezza di ciò
che lo attendeva, ha affidato alle pagine elettroniche di
"Xàos", invitando a leggere in questo breve
scritto, composto in occasione della festa per i settant'anni
di Emanuele Severino, la traccia di qualcosa di più
importante che restava da dire. "Chissà",
mi confidava, in una delle sue ultime telefonate, "se
potrà essere capito". Dagli studi giovanili
su Hume, passando per Wittgenstein e per la grande lezione
hegeliana, alla luce, tuttavia, del costante dialogo con
il pensiero del maestro Severino, Italo affinava l'indagine
di una "microntologia" - così lui la chiamava,
nella professione di semplicità e di cura per le
piccole cose che apparteneva, prima che al suo pensiero,
al suo stesso stile e modo di essere -, ossia di un'ontologia
sottile, del minimo della relazione. Di quel minuscolo che
costituisce e raccorda la tenace trama del tutto già
nello sguardo più antico della filosofia occidentale
che, nell'interpretazione di Valent, vedeva incontrarsi
in un'endiade indissociabile i detti di Parmenide e quelli
di Eraclito. Una ricerca affascinante che, troppo precocemente
interrotta - Italo aveva solo 58 anni e tante cose ancora
da dirci e insegnarci -, ci lascia comunque un capolavoro
filosofico su cui riflettere e con cui dialogare, quel "Dir
di no. Filosofia, linguaggio, follia", uscito nel 1995,
la cui seconda edizione, aumentata e riveduta, sta fra le
carte che Italo ci ha lasciato in eredità e, per
così dire, in custodia. "Dir di no" è
un saggio di rara passione filosofica e, insieme, di raffinata
eleganza stilistica. Per Valent la filosofia, prima di ogni
altra definizione dotta, è amore per la realtà.
La scienza studia con attenzione la realtà ma non
la ama, perciò la realtà del tutto può
esserle indifferente. La filosofia ama la realtà
senza distacco, perciò può giungere alla negazione
più radicale della realtà stessa. Solo ciò
che si ama, infatti, può essere odiato e disprezzato,
può divenire oggetto di negazione e di rifiuto o,
anche, del gesto estremo dell'autonegazione, di quella necessità
della negazione di sé e della realtà in cui
viviamo che si può cogliere, come dai margini di
una radura, nell'ombra, terribile e minacciosa, della follia.
Di qui l'intersse di Italo per la follia come esperienza
e come cura, la fondazione del gruppo di Orzinuovi, il dialogo
con psicologi, psichiatri, fra cui il fratello Graziano
Valent, nel tentativo di elaborare un modello della psiche
adeguato alla comprensione e alla terapia della follia.
Ma anche, tangente alla follia, la passione per il teatro,
con gli amici del gruppo teatrale bresciano "Scena
Sintetica" e l'incontro, quasi il presentimento biografico,
con una figura della cura che non fosse semplice e illusorio
rimedio, ovvero il risultato della stessa volontà
da cui la malattia dipende. Il "no" che si pronuncia
nella negazione, scrive Italo, "è la sillaba
della distanza, della distanza necessaria allo svolgersi
delle cose; è il simbolo stesso di ogni possibile
ricercare e conoscere, l'origine da cui prende spicco ogni
verità". Il "dir di no", separandoci
dalla cosa negata, agisce come una goccia che cade sulla
liscia superficie di un lago. Il punto della negazione si
propaga in una serie di onde concentriche, che sfuggono
dal punto di caduta e inglobano, cerchio dopo cerchio, la
totalità dello specchio d'acqua. Il significato radicale
ed assoluto della negazione è lo strumento con cui
la filosofia, nella sua speculazione più alta e conseguente,
ha preteso di sondare la realtà per esigerne il senso.
Tuttavia il senso non è il sapere dell'oggetto, ma
il problema della realtà medesima, in cui quell'oggetto,
gli altri oggetti, il porsi dello stesso problema del senso,
accadono. Nel rigore del pensiero della negazione emerge,
con tragica consapevolezza, lo slittamento e la fuga senza
fine che nel minimo, nella cellula letterale del senso,
ricapitola quello sterminato riverbero che noi chiamiamo
universo, ma che qui meglio sarebbe dire omniverso, dal
momento che ogni negare afferma "oltre questo sta il
tutto". Esplorando i più impervi territori della
filosofia occidentale, dall'oscura speculazione di Eraclito
alla sofisticata logica hegeliana, dai maestri della contemporaneità
Heidegger, Wittgenstein e poi Foucault, fino ad Emanuele
Severino, con cui Valent conduceva, qui come altrove, un
serrato dialogo, "Dire di no" mostrava la perturbante
tangenza del vertice della riflessione razionale con la
dolorosa esperienza della follia, ossia con, scrive Italo,
"uno dei più clamorosi tentativi dell'essere
umano di attestarsi sull'orlo del mondo". Infatti,
ciò che il pensiero filosofico solo a tratti intravede,
ovvero che ogni significare è significare l'intero,
che l'irreale è il contenuto stesso del reale, la
follia trasforma in un estremo ed atroce esperimento esistenziale.
Ecco allora che il libro di Italo Valent si chiudeva con
l'esegesi impossibile dell'indimenticabile personaggio del
"Bartleby lo scrivano" di Melville, il quale,
ripetendo ossessivamente il suo "preferirei di no"
ad ogni cosa del mondo, ossia trasformando tutta la sua
vita in una negazione, assoluta e senza attriti, illumina,
con la luce lunare della follia, il pallido pensiero che
sempre ci appartiene, quello dell'irreparabile.
A. Tagliapietra, La filosofia, prima di ogni altra definizione
dotta, è amore per la realtà. In ricordo di
Italo Valent, in "XÁOS. Giornale di confine", Anno II, N.1 Marzo-Giugno 2003,
URL: http://www.giornalediconfine.net/anno_2/n_1/1.htm